Passa la “Ley Mordaza” (Legge Museruola). In Spagna non si potrà più protestare

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In Spagna è entrata in vigore dal primo luglio la Ley de seguridad ciudadana (Legge di Sicurezza civica). Soprannominata “Ley Mordaza” (Legge Musuerola), la nuova disposizione è passata in Parlamento coi soli voti del Partido popular, che ha la maggioranza assoluta, e il no di tutte le opposizioni. Numerosissime sono state le prese di posizioni contrarie e dure critiche sono state espresse da cinque relatori per i diritti umani delle Nazioni unite.
La legge nasce in un contesto politico molto complesso, con le ondate di proteste che, in Spagna, hanno portato all’elaborazione di nuove proposte politiche che hanno ottenuto successo nelle urne, un Parlamento dominato dalla maggioranza assoluta del Pp al quale corrisponde nella società un livello di discredito altissimo – determinato dal disvelamento del sistema di accumulazione di fondi neri che avrebbe coinvolto il partito sin dalla sua nascita – confermato dalle recenti tornate elettorali, una generale caduta di credibilità delle istituzioni politiche. Il tentativo era quello di restituire autorevolezza all’esecutivo impostando con le opposizioni un dialogo sul tema del terrorismo. Tentativo partito male, per lo smarcamento di tutti i partiti eccetto il Psoe, e finito peggio, colla scrittura di un testo che, con la scusa del terrorismo, legiferava nel campo delle libertà civili e di espressione.

Il testo, che tra l’altro accoglie nell’ordinamento spagnolo la pena dell’ergastolo, finora esplicitamente vietata, è stato già impugnato davanti alla Corte costituzionale dal Partito socialista – una durezza determinata probabilmente dallo smacco subito con la presentazione di un testo la cui condivisione era evidentemente impossibile per il Psoe malgrado l’iniziale disposizione all’interlocuzione.
Dal primo luglio la Spagna si è messa ai margini del sistema di garanzie democratiche europeo, adottando una sorta di “modello ungherese”. Il paragone non è solo evocativo perché, come in quello ungherese, la limitazione della libera espressione e dei diritti individuali e collettivi passa dalla “amministrativizzazione” della repressione e della censura. Vediamo come.
Troppo spesso, nei tribunali, i giudici hanno smentito i verbali e le testimonianze di polizia, valutato l’effettiva perturbazione dell’ordine pubblico, la coscienziosità della condotta e non trovato conferme ai verbali di polizia – risultati anche falsi e smentiti dalle tante immagini riprese sul luogo e condivise nelle reti sociali. Qui sta l’aggancio con l’attualità politica spagnola, segnata da proteste e movimenti che hanno determinato un rivolgimento del quadro politico con effetti ancora in divenire. Come fare a impedire alla protesta civile di esprimersi – una protesta che non è possibile reprimere penalmente perché improntata al rifiuto convinto e radicale dell’uso della violenza come strumento di lotta politica? Sanzionando i comportamenti con multe, che vanno da cento a 600 mila euro.

In Spagna non si potrà scrivere su Internet dove si tengono atti di protesta non autorizzati (neanche sui propri account personali), non si potranno fotografare appartenenti alle forze dell’ordine, non ci si potrà arrampicare sulle ciminiere o sulle gru per protesta (addio alle battaglie operaie e a quelle ecologiste), non si potranno tenere spettacoli né concentrazioni nei pressi dei palazzi ufficiali (in particolare al Parlamento o alla residenza del governo a davanti alle sedi dei ministeri), non si potranno occupare piazze, fare picchettaggi o tentare, anche con metodi non violenti e resistenza passiva, di impedire, per esempio, una requisizione di un alloggio). Ognuna di queste attività viene esplicitamente vietata dalla nuova legge che costituisce un insieme di norme che, per raggiungere lo scopo di impedire l’espressione del dissenso politico e sociale, adotta il percorso paradossale di depenalizzarle.
Ogni attività di lotta può essere infrangere una norma amministrativa o addirittura comportare un reato. Si tratta di compendiare tra il diritto alla lotta politica e l’ordine pubblico, cosa che avviene poi in tribunale. Una volta rese infrazioni amministrative condotte che rientrano nell’ordine pubblico, invece, queste vengono sottratte al giudizio dei tribunali. In questo modo la sanzione che limita le libertà non viene erogata da un giudice – che ascolta le parti, verifica gli atti, applica le leggi e lo spirito della Carta costituzionale – ma basta un verbale di polizia per vedersi comminata una salata multa.

Molte sono state le prese di posizione contro la Ley Mordaza. Ammnesty international, Greenpeace, la Caritas e tantissime associazioni politiche e di volontariato. Il Consiglio generale degli avvocati, i cattedratici di diritto penale di Spagna, l’Unione progressista dei pubblici ministeri, Jueces para la democracia (la componente della magistratura affine a Magistratura democratica).
Il New Yor Times ha parlato di “cattivo presagio” ma durissima e demolitrice è stata l’analisi di cinque relatori per i Diritti umani dell’Onu. Il documento è stato redatto lo scorso febbraio, quando la legge era ancora Parlamento ma il testo era pubblico, da Maina Kiai, (relatore sui Diritti alla libertà di riunione pacifica e associazione) e David Kaye (Promozione e protezione del diritto alla libertà d’opinione e d’espressione); e firmato anche da Ben Emmerson (Promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta contro il terrorismo), François Crépeau (Promozione e protezione dei diritti umani e dei diritti fondamentali dei migranti), Michel Forst (Situazione dei difensori dei diritti umani). La critica al testo è senza appelli. «Ci preoccupa che le proposte di riforma possano essere una risposta del governo e del potere legislativo alle numerose manifestazioni che si sono tenute in Spagna negli ultimi anni», scrivono i relatori dell’Onu. «Il testo del progetto di legge comprende definizioni ampie o ambigue che aprono le porte a un’applicazione sproporzionata o discrezionale della legge da parte delle autorità». Secondo gli esperti indipendenti che collaborano con le Nazioni unite «Si tenta di dare una base legale a un nuovo tipo di “circostante aggravanti” per aumentare in via automatica la pena in caso di manifestazioni. Questo è contrario al diritto internazionale perché potrebbe avere un effetto dissuasorio sull’esercizio della libertà di manifestazione pacifica. Così redatta, la legge anti-terrorismo potrebbe criminalizzare condotte che non costituirebbero terrorismo e potrebbe sfociare, tra l’altro, in sproporzionate restrizioni dell’esercizio della libertà di espressione».
Le tante realtà contrarie alla legge si sono unite alla piattaforma No somos delito (Non siamo reato), che per prima ha denunciato, dal punto di vista degli attivisti e dei cittadini, le conseguenze liberticide del testo. Con l’organizzazione, lo scorso dieci aprile, di una manifestazione di ologrammi davanti al Parlamento, l’associazione è riuscita a imporre all’attenzione mondiale la vicenda, grazie all’enorme diffusione sui media digitali dell’emozionante performance di protesta.
Anche le associazioni dei giornalisti sono, naturalmente, in prima fila contro la legge (ma il riverbero sui giornali è ridotto, data la scarsa volontà degli editori di disturbare il manovratore al governo). La Federazione dei sindacati giornalistici spagnoli (Fesp, nella penisola non esiste un sindacato nazionale né un ordine professionale) ha condotto una mobilitazione contro il testo che continua dopo la sua approvazione. L’ International Federation of Journalists (Ifj) ha raccolto l’allarme della sezione spagnola e ha ufficialmente condannato il testo.
Per capire come la legge in vigore influisce sul lavoro giornalistico possiamo guardare a un’analisi che la Fesp ha fatto propria, quella di Media.cat, un autorevole osservatorio su media e la libertà d’espressione con sede in Catalogna. Secondo lo studio sono diversi gli ambiti fondamentali dell’esercizio del diritto di cronaca che vengono vulnerati dalla legge.
La libertà di espressione, viene messa in pericolo dall’articolo 599 che penalizza «La distribuzione o diffusione pubblica, attraverso qualsiasi mezzo, di messaggi o slogan che incitino al commettere alcuno dei delitti di alterazione dell’ordine pubblico dell’articolo 557 bis». Con la indefinitezza della formulazione è impossibile distinguere tra l’informazione su un evento e l’eventuale reato di «diffusione pubblica di messaggi». La libertà d’espressione viene altresì messa in dubbio dal divieto, castigato con multe da mille a 30mila euro, di «offese o oltraggi» alla Spagna, alle Comunità autonome, alle entità locali e le loro istituzioni, ai simboli e agli inni.
La libertà d’informazione viene vulnerata dall’articolo 36.26, che proibisce «L’uso non autorizzato di immagini o dati personali o professionali di autorità o membri delle forze e dei corpi di sicurezza […] o delle installazioni protette». Malgrado il governo abbia risposto alle critiche garantendo che verrà «rispettato il fondamentale diritto all’informazione», gli estensori non hanno dubbi nel ritenere che con la nuova legge «sarà molto più difficile documentare e informare sugli abusi di polizia».

Anche la protezione delle fonti viene pesantemente messa in discussione dal combinato dell’irrigidimento di diverse normative legate a Internet presenti nel testo, che prevede addirittura l’illegalità di programmi di sicurezza informatica e della procedura di accesso attraverso log in riservato ai forum di discussione. Secondo Media.cat, il combinato delle disposizioni renderà «terribilmente difficile» il lavoro investigativo su temi sensibili. Ma ancor più grave per la libertà di informazione sarà il fatto che, per la prima volta, anche la semplice consultazione di pagine web, potrà essere considerata reato cyberterrorismo, cominciando da subito per le pagine e i forum di addestramento terrorista e per i siti di pornografia infantile.
l’Osservatorio sui media catalano segnala infine le pericolose sinergie con altri testi di legge in discussione. La Legge di proprietà intellettuale, che verrà discussa il 22 luglio, prevede la chiusura amministrativa immediata di siti web senza passare per una deliberazione del giudice, costringendo i fornitori dei servizi di rete a distaccare i siti sotto accusa, pena pesanti multe pecuniarie. Ancor più drammatico l’incrocio con la nuova Legge sulla messa in stato d’accusa, anch’essa in discussione, che prevede l’intercettazione delle comunicazioni digitali senza autorizzazione giudiziaria, anche con l’utilizzo di programmi spia e agenti provocatori che diffondano contenuti illegali. Un incubo securitario che prospetta inefficienza della sicurezza, arbitrio e gravi lesioni dei diritti fondamentali dei cittadini.


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