L’Italicum e la controversia tra decisionismo e indecisionismo

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Con l’approvazione dell’Italicum è stato varcato il Rubicone che segna il tramonto della democrazia parlamentare rappresentativa fondata sui partiti, come pensata dai padri costituenti, per incamminarsi verso una democrazia di tipo presidenziale, non ancora ultimata nella sua configurazione. Non è un nuovo modello di fascismo, come affermato dalle opposizioni, ma le scelte fatte rafforzano il potere decisionale del Presidente del Consiglio, che è anche leader del suo partito, senza i contrappesi necessari onde evitare derive neoautoritarie.

La maggioranza dei parlamentari, che sembrano interpretare i sentimenti di una larga parte dell’opinione pubblica moderata, esaltano la vittoria del decisionismo renziano contro l’indecisionismo cronico della sinistra, in generale, e di quella interna, in particolare. Tra decisionismo e indecisionismo, avendo perso per strada i valori distintivi e fondativi della sinistra, la maggior parte del popolo della sinistra si trova a ripensare se stessa e il suo futuro (l’avrà se lo vorrà).

Potrà avere futuro e cambiare il paese un’aggregazione elettorale pigliatutto, ancorché vincente sul piano elettorale, che guidato dal cinico principio amorale “porta voti”, imbarca anche capielettori di destra o equivoci o pregiudicati?

Se la conquista del “centro”, comporta una linea politica e programmatica più moderata, per giunta senza più freni etici, quell’aggregazione elettorale potrà essere considerata uno strumento valido di cambiamento che porti a una democrazia compiuta?

La lezione che il voto inglese impartisce sembra dire che la vera aggregazione di sinistra del panorama inglese è quella radicale dell’indipendentismo scozzese, mentre quella post-Blair ha perso, perché pur usando un linguaggio più di sinistra non ha saputo convincere né i lavoratori né il ceto medio moderato che ha dato la maggioranza assoluta ai conservatori.

Ci sembra che una sinistra che non saprà offrire un’alternativa alla crisi globale del capitalismo senza ricorrere ai vecchi e falliti modelli (comunisti e socialdemocratici) e senza rompere la sudditanza al pensiero neoliberista, smette di essere sinistra, e se vuole governare deve allontanarsi sempre più dal mondo del lavoro e dei più deboli dal quale ha tratto origine. È ciò che sta avvenendo in Italia. Vince il decisionista Renzi perché la gente è stufa del tatticismo indecisionista della vecchia sinistra.

Si affermerà un indistinto partito della Nazione, sempre più legato al successo e all’insuccesso del premier, suo capo, oppure rinascerà una nuova sinistra politica e culturale, che superando i vecchi modelli liberali, comunisti e socialdemocratici saprà interpretare la costruzione di una democrazia, non formale, che eliminerà le diseguaglianze? È la questione globale del XXI secolo. Tra i populismi e i conservatorismi dell’occidente, tra gli estremismi culturali-religiosi e gli egoismi dei paesi ricchi, si muovono disperatamente dall’una all’altra parte del globo, enormi masse di sfruttati e di poveri verso i quali non bastano i sentimenti d’accoglienza se non sono accompagnati da scelte che cambino un capitalismo globale senza regole e controlli pubblici.

Fin quando in Italia non si materializza un’alternativa credibile, il popolo di sinistra, si rifugerà nell’astensionismo, contribuendo indirettamente all’affermazione del partito della nazione del centrodestra. Ricostruire una sinistra moderna del XXI secolo è un cimento possibile, rassegnarsi significherebbe cedere all’imperante decisionismo senza eguaglianza o giustizia sociale. Allora bisogna tornare alla gente, non per illuderla, ma per organizzare la lotta per il diritto al lavoro e alla felicità. È bastato lo sciopero unitario del mondo della scuola per riaprire il dibattito sul futuro democratico della scuola e della società futura che dovrà essere gestita domani dagli studenti di oggi. Vedremo come finirà, ma intanto si potrà discutere ciò che non è stato possibile per il Jobs Act e per l’Italicum accontentandosi di compromessi al ribasso.

Non sono possibili solo battaglie parlamentari, senza confrontarsi politicamente ogni giorno nei luoghi di produzione e nella società civile e suscitare mobilitazioni sociali sulle proprie ragioni, lasciando solo il sindacato, peraltro diviso. Se il confronto viene lasciato a Twitter, tra obbedienti e dissenzienti, vincerà il Twitter più breve ed efficace con buona pace della democrazia intesa come partecipazione del demos alla res pubblica.

Su questo il Centro La Torre, come non si è lasciato affascinare dall’antimafia dell’anniversario retorico o da candidatura, così non si lascerà trascinare né dall’indecisionismo cronico né dal decisionismo ammantato di sinistrismo che piace alla destra. Cercherà, non da solo, di contribuire alla ricostruzione di un’alternativa democratica di sinistra.


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