Ucciso Lo Porto: mi chiedo quanti sono quelli che apprezzano il sacrificio di questi caduti per la pace

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Mi chiedo quanti sono quelli che apprezzano il sacrificio di questi caduti per la pace. Ieri sera, durante la puntata di “Servizio pubblico”, mi ha colpito, lasciandomi sconcertato, il sarcasmo “dal sen fuggito” di Edward Luttwak, esperto americano di affari internazionali, corteggiatissimo dai talk show. “In Italia – ha detto testualmente – c’è sicuramente una lista lunghissima di posti dove si può andare a cooperare, dove ci sono terribili situazioni sociali e umane, però certi vogliono andare lontano e in zone di guerra queste cose succedono”.  Già, succedono. Come le stragi di civili innocenti puntualmente motivate come “incidenti collaterali”. E quelle in mare di chi è costretto a fuggire da quelle medesime guerre, combattute con armi fabbricate e vendute da noi popoli civili nella piena consapevolezza dell’uso incivile che ne verrà fatto. Perché, come titolava un vecchio film con Alberto Sordi, “finché c’è guerra c’è speranza”. Quanto a Luttwak, gli si potrebbe dare la stessa risposta che il presidente Mattarella ha dato oggi, in un’intervista, al direttore di Repubblica, Mauro: “La risposta alla globalizzazione del terrore non può essere cercata che nella solidarietà internazionale (la stessa per cui molti cooperanti mettono a rischio la vita, come è successo a Giovanni Lo Porto) e nella collaborazione sempre più stretta tra i paesi che condividono gli stessi ideali di democrazia, di convivenza e di tolleranza”. A giudicare dai modesti risultati del vertice di ieri a Bruxelles, una collaborazione che tarda a venire.


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