NON GIUSTIFICANO IL LICENZIAMENTO LE OFFESE RIVOLTE AL SUPERIORE

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In stato di turbamento psichico (Cassazione Sezione Lavoro n. 2692 dell’11 febbraio 2015, Pres. e Rel. Roselli)

M.T. è stato licenziato per avere rivolte parole offensive e volgari a un diretto superiore che lo aveva invitato a collaborare per una serenità lavorativa nel reparto. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento con ricorso ex L. n. 28 giugno 2012 n. 92. Il ricorso è stato rigettato. In sede di reclamo la Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 21 febbraio 2014, ha dichiarato illegittimo il licenziamento, osservando che il lavoratore aveva reagito nella convinzione di essere vittima di un’ingiusta delazione e perciò in stato di turbamento psichico transitorio, non aveva rifiutato nemmeno in parte la prestazione lavorativa, non aveva inadempiuto ad alcun obbligo contrattuale e non aveva contestato i poteri dei superiori; pertanto l’illecito disciplinare doveva essere qualificato come insubordinazione lieve, per la quale il ccl prevede soltanto la sanzione conservativa. L’azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte napoletana per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 2692 dell’11 febbraio 2015, Pres. e Rel. Roselli) ha rigettato il ricorso. Non è affetto da alcun errore di diritto – ha osservato la Corte – il giudizio che riconduce all’insubordinazione lieve l’uso, contro il diritto superiore, di parole offensive e volgari da parte di un lavoratore che si ritenga vittima di una maliziosa delazione, senza contestare i poteri dello stesso superiore e senza rifiutare la prestazione lavorativa. Considerato che il contratto collettivo parifica all’insubordinazione grave, giustificativa del licenziamento, gravi reati accertati in sede penale, quali il furto e il danneggiamento – ha affermato la Cassazione – deve ritenere rispettosa del principio di proporzione la decisione della Corte di merito, che non ha riportato il comportamento in questione, certamente illecito, alla più grave delle sanzioni disciplinari, tale da privare dei mezzi di sostentamento il lavoratore e la sua famiglia (art. 36, primo comma, Cost.).

Da leggeegiustizia.it


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