Risponde al vero che migliaia di combattenti europei addestrati in Medio Oriente potrebbero tornare in patria proprio per compiere attentati?

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E’ noto che se c’è un campo nella vita sociale e politica dove conta l’esempio che altri hanno dato con successo e che si ritiene di poter ripetere direttamente, questo è il campo delle azioni terroristiche compiute da sigle clandestine e da piccoli gruppi irregolari e poco indagati. Questa è la ragione di fondo che spiega la paura che si è impadronita negli ultimi giorni delle polizie e dei servizi segreti europei e occidentali dopo il sanguinoso assalto al settimanale satirico di Parigi da parte di alcuni affiliati (3-4 o di più non è ancora del tutto chiaro!) dell’ISIS di del califfo Al-Baghdadi.

E’ questa la storia di quelli che si definiscono e vengono definiti i “lupi solitari” come i fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly. Si tratta, a quando dicono i Servizi, di stranieri residenti in Italia collegati con fondamentalisti che si trovano in Europa ma anche arruolati dalle organizzazioni fondamentaliste in Siria e in Iraq, secondo l’indagine dei carabinieri del ROS, coordinati dai quattro magistrati dell’accusa della Procura di Roma. Sono questi i “lupi solitari” di cui ha parlato davanti al COPASIR il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, l’onorevole Marco Minniti nei giorni scorsi sottolineando la necessità di “tenere altissima” l’attenzione degli apparati di sicurezza ma anche dei cittadini perché queste persone si uniscono in piccole cellule e “cercano di ottenere il massimo sforzo anche senza pianificare atti imponenti”.

Questo è quello che è accaduto a Parigi anche se non era perfetta l’organizzazione degli attentati. Il capo dell’antiterrorismo europeo Gilles de Kechove ha ammonito i governi facendo un ragionamento che è proprio di persone esperti di lotta al terrorismo. “Non possiamo prevenire nuovi attacchi ma sappiamo che è in atto una massiccia radicalizzazione, soprattutto tra i detenuti nelle carceri italiane ed europee.” Le cifre sono impressionanti e vengono fornite dal direttore di Europol Rob Wainwright al Parlamento britannico che spiega che ci sono “tra i 3mila e i 5mila combattenti europei andati in Medio Oriente per essere addestrati e prender parte alla “guerra santa” che potrebbero tornare in patria proprio per  compiere attentati”. Gli italiani di questa rete sarebbero giovani tra i venti e i trenta anni, immigrati, ma soprattutto stranieri di seconda generazione che sono approdati all’estremismo radicale dell’ISIS attraverso l’indottrinamento avvenuto sulla rete Internet, la frequentazione dei luoghi di culto sparsi sul territorio italiano e i contatti con alcuni predicatori che arruolano di fatto con i loro discorsi gli aspiranti alla Jiad in questo periodo.

Se questo è il grado non c’è da stupirsi per la registrazione e il rafforzamento delle misure di sicurezza in tutto il Paese e soprattutto presso i cosiddetti “obbiettivi sensibili” che sono, ovviamente, gli edifici istituzionali, certe basiliche vaticane e così via. Ma c’è anche da chiedersi – come sempre  in questi casi ci aiuta l’esperienza del passato – fino a che punto tutto risulti così efficace da ridurre o fronteggiare del tutto i pericoli che vengono dalle organizzazioni terroristiche celate nell’ombra.


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