Rai: un servizio che si chiama pubblico

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Moveon torna alla carica e riprende il discorso sulla riforma della Rai con un’iniziativa che si è svolta nei giorni scorsi nella sede della FNSI. Il tema all’ordine del giorno non era solo la proposta di riforma elaborata dal Tavolo di lavoro Parlamento – società civile che si è riunito alla Camera dei deputati lungo l’arco di svariati mesi a partire dalla fine del 2013. Di quella proposta si era già parlato all’inizio dell’estate quando fu presentata alla Commissione di vigilanza Rai durante un’audizione dei rappresentanti di Moveon. Giustamente, come è stato subito chiarito all’inizio dell’incontro del 28 ottobre, quel testo è da considerarsi una proposta aperta il cui valore sta in alcuni principi intorno ai quali si articolano le soluzioni ideate nel corso dei lavori del Tavolo.

La questione cruciale è il servizio pubblico e, infatti, il primo principio della proposta è la definizione del servizio pubblico nella comunicazione audiovisiva come un bene comune.

Il secondo principio è che il servizio pubblico debba essere svolto da un operatore pubblico, una società per azioni di proprietà dello Stato e le cui azioni non siano cedibili.
Il terzo principio è che la funzione di vigilanza, di orientamento e di garanzia debba essere attribuita ad un organismo rappresentativo delle diverse istanze politiche, sociali, culturali del Paese.
Il quarto principio è che i cittadini debbano eleggere direttamente propri rappresentanti nell’organismo di garanzia.
Il quinto principio è che al cittadino sia attribuita la facoltà di rivolgersi al giudice a tutela del suo diritto di accesso al servizio pubblico.
Quelli indicati sono i principi intorno ai quali è stata costruita la proposta di Moveon e il 28 ottobre tutti gli interventi hanno sottolineato che il servizio pubblico della Rai debba restare, ma superando i limiti e le inefficienze che si sono manifestati nella lunga stagione della lottizzazione partitica.

Da anni si dice che la Rai si deve liberare dall’opprimente (e sempre più inefficiente e costoso) controllo dei partiti. La crisi del servizio pubblico e la disaffezione di tanti telespettatori (testimoniata anche da una amplissima evasione del canone) sono stati causati, innanzitutto, dal modo in cui è stata gestita la Rai che ha portato ad una perdita di qualità e di sensibilità per lo sviluppo delle comunicazioni audiovisive. Lo spreco di risorse, d’altra parte, non è certo una leggenda, ma un fatto che, dopo tanti anni, si è mutato in luogo comune, nella vox populi, che ha inchiodato la Rai all’immagine di un’azienda basata sul più sfacciato clientelismo di smaccata impronta partitica.

Il modo per uscire dal discredito e dalla crisi non è tagliare le risorse provenienti dal canone, non è nemmeno consegnarsi ad un mercato dove il pluralismo sia quello degli operatori economici e non è certo quello di mettere a gara il servizio pubblico e il relativo canone. Il modo giusto è rinnovare profondamente il sistema di governance entro il quale si deve svolgere il servizio pubblico a partire da una sua definizione più chiara.

Per farlo bisogna ora passare ad un’iniziativa più ampia che punti certamente alla formale presentazione in Parlamento della proposta di riforma elaborata da Moveon, ma anche all’impegno di tutte le forze sociali e associative che rappresentano i cittadini e che sono interessate al rilancio del servizio pubblico.

Alcune sono già intervenute il 28 ottobre alla FNSI e hanno dato la loro disponibilità. Si tratta di diffondere consapevolezza nell’opinione pubblica che occorre uscire dall’impasse e muoversi verso un sistema diverso da quello attuale


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