Le mense scolastiche non sono uguali per tutti. Allarme discriminazioni

0 0

Save the Children, monitoraggio in 36 comuni: differenze enormi nei criteri di accesso e nelle tariffe con rischio discriminazione per molti bambini

ROMA – La mensa non è uguale per tutti. Su 36 comuni presi in esame, dal nord al sud Italia, rispetto ai servizi di refezione scolastica delle scuole primarie, ogni comune si regola diversamente per le tariffe, le eventuali esenzioni o riduzioni e in caso di morosità: Vigevano, Brescia e Campobasso le prassi peggiori, con le rette tra le più alte d’Italia, nessuna esenzione anche per famiglie in difficoltà ed esclusione immediata del bambino dalla mensa in caso di morosità dei genitori.

Bologna invece, ad appena 250 chilometri da Vigevano, si distingue per le rette più basse e accessibili – 3 euro la tariffa minima – mentre Genova e Bari per l’attenzione ai bambini in famiglie disagiate anche a causa della crisi o in situazione di marginalità.

Sono alcune delle evidenze del “Monitoraggio dei servizi di refezione scolastica nei maggiori comuni italiani”, realizzato per il secondo anno da Save the Children e diffuso oggi, nell’ambito della campagna “Illuminiamo il Futuro” per dare educazione e speranza ai bambini stretti nella morsa delle povertà: 3 settimane di sensibilizzazione e raccolta fondi fino al 1° giugno, anche attraverso l’sms 45509 (www.illuminiamoilfuturo.it).

“La presenza della mensa a scuola concorre a garantire un’adeguata offerta di servizi e opportunità formative per un bambino. Per questa ragione Save the Children ha deciso per il secondo anno di realizzare un monitoraggio delle mense nei principali comuni e ha voluto includere le mense nell’Indice di povertà educativa IPE diffuso ieri, in occasione del lancio della campagna Illuminiamo il Futuro, a contrasto della povertà educativa in Italia. L’Indice segnala una diffusione del servizio che varia da regione a regione, con gravi carenze in alcune di esse. Il presente monitoraggio documenta invece la varietà e diversità dei criteri di accesso, anche laddove il servizio mensa sia disponibile, con il risultato che un bambino, a seconda del territorio in cui vive, può avere o non avere la mensa a scuola oppure averla ma magari troppo costosa per la sua famiglia”, spiega Raffaela Milano, Direttore dei Programmi Italia-Europa Save the Children Italia, l’Organizzazione dedicata dal 1919 a salvare la vita dei bambini e difendere i loro diritti.

“La mensa scolastica deve diventare un diritto di base garantito a tutti i bambini, secondo standard di qualità certificati”, prosegue. “Il momento del pasto alla mensa scolastica è estremamente importante per ogni bambino e in particolare per chi vive in condizioni di povertà, perché garantisce un pasto completo almeno una volta al giorno, è una occasione di convivialità, di educazione alimentare, oltre a permettere l’apertura pomeridiana della scuola e il contrasto alla dispersione scolastica ”.

Le differenze dei requisiti per essere ammessi a mensa

A Vigevano, Brescia, Adro, Trento, Padova, Parma, Campobasso, Salerno e Palermo non è prevista  l’esenzione dal pagamento della quota di contribuzione al servizio mensa pur in presenza di redditi molto bassi o di situazioni di disagio per le famiglie non prese in carico dai servizi.

Ma anche in quei comuni dove  l’esenzione è prevista, nè i criteri nè la soglia di accesso sono omogenei. Si va da un’esenzione basata su un tetto ISEE[3] di 0 Euro a Perugia fino a Potenza che prevede un’esenzione completa per i nuclei con ISEE fino a 8.000,00 Euro e Trieste fino a 7.250 Euro.

Alcuni comuni inoltre prevedono esenzioni dal pagamento per famiglie particolarmente svantaggiate, in cui sia sopravvenuta per esempio una disoccupazione, come nel caso dei comuni di Genova, Bari e Cagliari. I comuni di Verona, Reggio Emilia, Vigevano, Brescia, Genova, Napoli, Perugia, Torino, Aosta, Udine, Catania e Sassari esonerano dal pagamento della mensa i minori segnalati dai servizi sociali. Nel caso di Genova ne sono esenti anche i figli di rifugiati o di famiglie particolarmente numerose, come previsto anche dai comuni di Verona, Ancona e Bari. A Lecce non pagano la mensa anche i bambini delle comunità rom, al fine di favorirne l’integrazione.

Rispetto al quantum della contribuzione, benché tutti i comuni mappati prevedano una modulazione delle tariffe in base al reddito[4] e a particolari condizioni del bambino (per esempio in adozione, affidamento o segnalato dai servizi sociali) e della famiglia saltano all’occhio le notevoli differenze da città a città. Si va da una tariffa minima mensile di 3 Euro a Bologna, 5 Euro a Napoli, 7 Euro a Salerno fino a 72 Euro a Vigevano, 66 Euro a Brescia e 53 Euro a Campobasso.

Si notino i casi dei comuni di Bologna e Vigevano che, pur vicini geograficamente, sono invece molto distanti per quel che riguarda i costi dei rispettivi servizi di refezione.  Infatti la tariffa massima mensile applicata a Bologna di 27 Euro (con un ISEE superiore a 30.000,00 Euro) è praticamente un terzo rispetto alla tariffa minima di 72,04 E riscossa mensilmente da Vigevano (con un ISEE inferiore a 12.946,56 Euro).

In generale, rispetto al monitoraggio effettuato l’anno scorso, non si riscontrano aumenti significativi di tariffe con l’eccezione di Udine, +15% e di Catanzaro dove le rette, pur restando nella media, sono raddoppiate.

Si conferma invece anche quest’anno per la maggioranza dei comuni – 25 su 36 – la cattiva prassi di escludere da esenzione o riduzione della contribuzione i bambini non residenti nel comune di riferimento[5].

“In considerazione del fatto che tutti i minori sono titolari degli stessi diritti, il criterio della residenza può avere effetti discriminatori nei confronti dei bambini che non risiedono in quel territorio, che poi, spesso, sono figli di genitori migranti o provengono da famiglie più in difficoltà che vivono fuori dei centri cittadini”, spiega Antonella Inverno, Responsabile Area Legale di Save the Children Italia.

E tornano in evidenza anche quest’anno i casi di esclusione dei bambini dal servizio di refezione nel caso di genitori morosi nei pagamenti, nei comuni di Vigevano, Brescia, Adro, Crotone, Campobasso e Lecce.

Particolarmente critica la situazione a Vigevano, dove basta che una sola retta non sia pagata perché il bambino venga escluso dalla mensa e dove il debito contratto dai genitori di un alunno viene considerato un “debito familiare”, con la conseguenza che tutti i fratelli vengono esclusi dal servizio, anche se la morosità riguarda solo  uno di loro.

“La cattiva prassi dell’esclusione dei bambini dal servizio mensa laddove i genitori non siano in regola con il pagamento trasforma il pasto da fattore di integrazione a occasione di stigmatizzazione. A Crotone, per esempio, i bambini sono costretti  a scegliere fra consumare i pasti, spesso un panino, in aula da soli o lasciare l’edificio. Ciò amplifica la percezione dei divari sociali e il senso di esclusione nei bambini. E’ giusto richiedere il pagamento laddove ci sia una morosità, ma la rivalsa nei confronti dei genitori va esercitata in altro modo, non deve pesare sui bambini”, prosegue Antonella Inverno.

“Incrociando e raffrontando i risultati del monitoraggio i comuni di Vigevano, Brescia e Campobasso si segnalano per le peggiori prassi”, commenta Raffaela Milano. “Hanno tra le tariffe mensili più alte d’Italia, non prevedono alcun tipo di esenzione per redditi più bassi e nonostante ciò e la mancanza di agevolazioni i minori figli di genitori morosi vengono esclusi dall’accesso al servizio[6]. Al contrario, oltre al comune di Bologna che prevede tariffe molto inferiori rispetto agli altri comuni mappati è apprezzabile l’approccio positivo e inclusivo dei comuni di Genova e Bari che applicano criteri agevolativi a sostegno delle famiglie più in difficoltà”.

La petizione al Comune di Vigevano

E rispetto a Vigevano Save the Children ha deciso di sostenere alcuni genitori e di promuovere una petizione online (www.illuminiamoilfuturo.it/petizione) rivolta al Sindaco del comune, in cui si chiede che la mensa a scuola sia gratuita per i bambini più poveri e che sia ritirata la delibera 51/2012 che impone alle famiglie con i redditi più bassi il pagamento del servizio e stabilisce che basta che non si paghi anche una sola retta (120€ a fascia massima) perché il bambino sia escluso dal servizio e costretto a consumare il pranzo portato da casa in una stanza separata, lontano dai propri compagni o addirittura a tornare a casa.

“Vigevano si segnala in negativo fra i comuni monitorati per dei criteri di accesso al servizio di refezione così restrittivi e penalizzanti da diventare discriminatori nei confronti dei bambini di famiglie in difficoltà. Si tratta di decisioni che ledono il diritto all’istruzione e alla salute, sancito dalla Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia”, spiega ancora Antonella Inverno.

“La petizione si inserisce nella campagna Illuminiamo il Futuro lanciata da Save the Children per contrastare  l’allarmante deficit di opportunità educative per le nuove generazioni. L’obiettivo dell’iniziativa è fare pressione sull’amministrazione di Vigevano ma anche promuovere un cambiamento a livello nazionale:  il servizio mensa deve essere garantito gratuitamente a tutti i bambini in condizioni di povertà, su tutto il territorio nazionale. Vogliamo che l’accesso alla mensa sia considerato un livello essenziale delle prestazioni sociali per l’infanzia, nel rispetto del titolo V della Costituzione”, conclude Raffaela Milano.

Uno specchietto con le migliori e peggiori prassi 

Da dazebao.it


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21