“La verità del pentito” Gaspare Spatuzza

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di Norma Ferrara

C’era un pezzo di Stato che trattava con i mafiosi e uno che depistava le indagini sulle stragi di Cosa nostra, in quegli anni ’90 in Sicilia. E poi, anni dopo uno Stato preso in contropiede davanti ad una nuova verità sciorinata dal pentito e collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza. Il percorso della “conversione” alla religione e alle regole dello Stato dell’ex boss di Brancaccio è narrato, nero su bianco, da Giovanna Montanaro, studiosa e ricercatrice, ne “La verità del pentito” il suo ultimo libro presentato ieri a Roma, in un intenso dibattito con i giornalisti Attilio Bolzoni (La Repubblica) e Francesco La Licata ( La Stampa). I due cronisti, memoria storica degli ultimi trent’anni di indagini antimafia nel Paese, entrano a gamba tesa dentro il libro della Montanaro con una serie di interrogativi che attraversano le stragi di Capaci e via d’Amelio, il “depistaggio” sulle indagini del ’92-’93, le mancanze della magistratura e quelle del giornalismo.

Quella volta che il giornalismo si fermò ad un passo dalla verità. «Nel libro si racconta una delle pagine più vergognose della storia del nostro Paese – dichiara Francesco La Licata – quella in cui Cosa nostra mise in atto una strategia politica che attraversò la nostra democrazia». Una storia che potevamo sapere prima, spiegano i giornalisti, commentando le vicende raccontate con rigore scientifico nel libro della Montanaro, già autrice di un copioso lavoro sui collaboratori di giustizia in Italia (“Dalla mafia allo Stato”, edito dal Gruppo Abele). «Noi giornalisti avevamo tutti gli elementi – dichiara Bolzoni – per aggiungere altro alle cronache che abbiamo scritto. Non c’era bisogno di aspettare Spatuzza per accorgerci che c’era qualcuno che aveva depistato le indagini. Ma non l’abbiamo fatto. Perchè?». Una risposta prova a darla il collega La Licata che commenta «Non abbiamo avuto le condizioni ambientali per farlo, contestare le indagini in quegli anni equivaleva a dire che stavamo dall’altra parte. Ci siamo fermati per stare dalla parte di una magistratura nel mirino della mafia. Forse, abbiamo fatto come i colleghi di Milano quando si sono trovati di fronte all’inchiesta “Mani Pulite”… ».  «Noi veniamo da una scuola di giornalismo che impone di verificare tutte le notizie, di essere guardiani del potere, qualsiasi potere – ricorda La Licata – ma in quegli anni siamo scivolati su questo principio. D’altronde, accadde di peggio alla magistratura e molti di coloro che ebbero un ruolo in queste vicende poi hanno fatto carriera e talvolta sono oggi sulle prime pagine dei giornali ». Un giornalismo ferito dalle bombe di Cosa nostra che non ebbe la forza e la lucidità di andare fino in fondo.

Le indagini, i depistaggi e l’intervista a Spatuzza. Un libro “La verità del pentito” «che nasce dall’esigenza – spiega la Montanaro – di verificare  se vi fosse una correlazione fra il percorso di ravvedimento di uno dei più importanti pentiti di questi anni, Gaspare Spatuzza,  e la sua tenuta come collaboratore di giustizia». Un viaggio dentro la vita di uno dei killer del quartiere Brancaccio, affiliato solo nel ’95 ma di fatto “uomo dei Graviano” sin dagli anni ’80. A lui sono attibuite le stragi più importanti fatte da Cosa nostra e omicidi cruenti. Spatuzza, dopo anni di conversione umana e religiosa, dal 2008 comincia la collaborazione con la giustizia e con le sue deposizioni porterà alla revisione di due dei processi sulle stragi di via d’Amelio. L’incontro con il pentito siciliano per la Montanaro è un percorso in bilico fra  l’esigenza di conoscere e quella di tutelare l’intervistato. L’attuale collaboratore di giustizia, infatti, ha scelto in questi anni di non incontrare giornalisti finchè il suo percorso con la giustizia non sarà portato a termine. Ha accettato i colloqui con la studiosa, dunque, solo dopo un percorso travagliato che ha avuto inizio nell’agosto del 2010. La decisione di concedere l’intervista è giunta solo dopo, a patto fra le altre cose, che non venisse registrata. Incontro dopo incontro, appunti e riscritture, la Montanaro si è fatta strada fra il 2012 e il 2013 dentro la storia dell’ “uomo-Spatuzza” per verificarne l’attendibilità, consegnando al lettore un documento fedele al percorso personale dell’ex boss di Brancaccio, prima che a quello giudiziario. «Quando Spatuzza decide di confermare la sua collaborazione con lo Stato – spiega la Montanaro – la prima cosa che è evidente a tutti è che per tanti anni un intero Paese fosse stato ingannato. E soprattutto, i familiari delle vittime». Tanti i punti oscuri delle indagini: si va dalle cinque ritrattazioni del finto collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, sino ai mancati riscontri sul luogo in cui sarebbe stata rubata la 126 uitlizzata per la strage di via d’Amelio. Ed è Bolzoni a ricordare anche altri elementi: atti che sono stati fatti sparire e ritrovati dopo molti anni, ormai deteriorati,  in un magazzino della polizia di Bagheria o interrogatori mancanti e su tutte la “vestizione del pupo”, ovvero la costruzione a tavolino di un finto collaboratore di giustizia. Fatti complessi da accertare a livello giudiziario e anche da raccontare per giornali e tv. A tal proposito, La Licata e Bolzoni denunciano una certa tendenza del giornalismo a confondere le carte in tavola fino a far “perdere la sostanza delle cose” come è accaduto – spiega Bolzoni – nell’estate di due anni fa quando nella polemica sulle telefonate fra Mancino e Napolitano è venuto meno il dato di fatto, ovvero che un ex senatore non “volesse recarsi a Palermo a sostenere un confronto con l’ex ministro della Giustizia, Martelli” o la sostanza che si è persa di vista – spiega La Licata – “quando di fronte alla polemica sull’impianto accusatorio portato avanti nel processo sulla trattativa ci si divide in fazioni, piuttosto che affrontare una analisi tecnica sulla tipologia di reato contestato”. I due inviati raccontano una sorta di “circo mediatico” a spese della verità, cui tutti i giornali hanno, in misura diversa e in anni differenti, preso parte.

 ”Un pentito autentico e un collaboratore attendibile”. E infine si parla di Dell’Utri e dei Graviano e quella famosa frase inclusa nella testimonianza di Spatuzza “Abbiamo il paese nelle mani” che tanto fece discutere la stampa. «… I Graviano possono avere anche millantato con Spatuzza rapporti che non avevano in quei termini – osservano i giornalisti in chiusura di dibattito» ma è la Montanaro a ricordare dell’incontro di Campo Felice (Pa) in cui Spatuzza criticando la strategia stragista dei boss di Brancaccio si sentì rispondere: “C’è in piedi una situazione che se andrà a buon fine ne avremo benefici per i carcerati”. «La mia impressione dopo questo lavoro – conclude la Montanaro – è di trovarmi davanti ad un pentito vero e ad un collaboratore di giustizia autentico». Quella che Spatuzza racconta continua comunque ad essere la sua versione, quella di un pentito di mafia – aggiunge Bolzoni – «servirebbe adesso un libro in cui sia un pentito di Stato a raccontarci la verità mancante».

Da liberainformazione.org


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