La Grande Bruttezza. Caffè del 4 marzo

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La lingua batte dove il dente duole, cioè sull’Oscar a La Grande Bellezza. Duole? Ma se Napolitano e Renzi e giù per li rami, tutti ostentano orgoglio? Sì, per la statuetta tornata dopo 15 anni in Italia. Ma orgoglio misto a vergogna per le piaghe della Roma – Italia che il film racconta al mondo. Corre in soccorso l’autore, Paolo Sorrentino: “Non credo affatto che l’Italia sia all’ultima chance, penso, anzi, che il Paese abbia risorse inesauribili, che finga un po’ di essere all’ultimo stadio anche quando in realtà non lo è”.

Già, ma allora perché l’Italia, e Roma prima di tutto, sembrano ostentare così spudoratamente le loro bruttezze? Perché, chi le racconta, indulge su velleità, cinismo e mitomania dei suoi connazionali? Già, perché? Credo che se un limite ha il film sta nel suo doppio passo: da un lato si propone come instant film sulla Roma godona, di Dagospia o delle foto trovate su Chi, dall’altra ha l’ambizione di fare i conti con il realismo onirico (scusate l’ossimoro) de La Dolce Vita, e con il disincanto amaro de La Terrazza. La risposta – non risposta alla domanda, sta forse nell’intreccio tra realtà e racconto dell’ultimo mezzo secolo italiano, colpevoli entrambi di buttarsi via, con la pretesa, invece, d’essere perfetti, bellissimi nella bruttezza narrata.

Ieri pensavo all’impegno preso da Renzi per introdurre il reato di auto riciclaggio, che così tanti magistrati, alle prese con mafie e crimini dell’amministrazione, considerano decisivo. Finora solo Civati lo voleva proporre in Parlamento, come emendamento alla legge sul rientro dei capitali. Ora invece entrano in partita Governo e Pd. Bene: Perché nessuno esulta? Perché i critici, diffidenti, di Renzie (come lo chiama Grillo) non inchiodano il Premier alle sue promesse? Forse perché hanno paura (o abbiamo paura) che le cose possano cambiare. Paura di non essere poi così gretti, brutti e volgari, perfetto contrasto con la bellezza del paese che fu. Lo stesso per le dimissioni di Gentile. Sono arrivate, per una volta abbiamo vinto? Solo Repubblica gli dedica il titolo forte. Il Fatto rilancia. Sì, “Il cinghiale si dimette, ma la Barracciu e gli altri?”. L’uno o l’altra per Lui (Travaglio) pari sono.

A Un Giorno da Pecora mi è stato chiesto se temessi l’attacco del blog di Grillo che mi ha inserito (come ex) nella lista dei giornalisti del giorno. “No – ho risposto – mi diverto a provocarli e loro ci cadono come fessacchiotti”. Naturalmente quel termine ha fatto il giro dei siti. Ora non penso che i 5 Stelle eccellano particolarmente per dabbenaggine. Scorgo persone serie e generose tra i senatori e i deputati che in questi giorni si mostrano in dissenso con Grillo. Anche tra alcuni di quelli che restano, pur coinvolti in un travaglio doloroso e difficile. Ma in rete – è vero – operano centinaia di “fessacchiotti”, lesti a cogliere ogni battuta per sommergerla di luoghi comuni, insulti, grida degne dei bravi di don Rodrigo. Poche decine di followers, centinaia di tweet al giorno, evidente la difficoltà con l’italiano e con la sintesi (140 caratteri, ahimè, sono una sfida), questi fessacchiotti sfornano un’ideologia primitiva: noi buoni – voi parassiti, vinceremo – siete morti, non usare il nome di Grillo invano, noi vittime – voi poteri forti, parassiti e mantenuti non avete diritto di parola, noi vittime – voi servi dei poteri forti. Una sotto-terrazza ancora più sotto-culturale di quella di Sorrentino.

Sono costoro, dopotutto, la versione pessimista e rancorosa dell’Italia da bere di Craxi, delle cene di Berlusconi con Lele Mora e la nipote di Mubarak, del guerriero padano che si trasforma in arraffa diamanti, dei 101 del Pd in equilibrio tra un sotto ministero a un altro. L’Italia che ha rotto il filo della propria storia e si è ingrassata ammalandosi di amnesia; poi nel pieno della notte, strappata al sonno da un incubo, s’è vista di nuovo povera, e ha preso ad agitarsi con forconi spuntati alla ricerca dell’untore colpevole di ogni (propria) colpa.

Basta. C’è un ordine geometrico in quel che accade in politica. Renzi ha convinto Alfano a far cadere il “cinghiale” (e con lui parecchi a Cosenza utili per le Europee) ora vuol convincere Forza Italia che la legge elettorale non si può approvare così com’è, con troppe soglie di sbarramento e quel premio al 37 per cento, per consentire a Berlusconi di mettere in riga tutti i renitenti di centro e di destra, da Casini alla Meloni, da Salvini ad Alfano, e da Storace a Mauro. Il Giornale titola: “legge elettorale, renzi sotto ricatto”. Berlusconi manda il drago Toti a sputar fiamme, si prepara il tirannosauro Brunetta.

Matteo Renzi, come ha fatto ieri Obama con Putin, potrebbe dirgli : “hai scelto la parte sbagliata della Storia”. Potrebbe provare a trasformare in forza una debolezza evidente di questo governo, nato da un colpo di palazzo e non da una investitura elettorale. La sinistra, oggi dispersa tra civatiani, cuperliani onesti (cioè al netto della quota parte dei 101 che gli è spettata), Sinistra Ecologia e Libertà, 5 Stelle dissidenti, intellettuali che sostengono Tsipras e gruppi che hanno appoggiato Ingroia, potrebbe persino, tutta o in parte, rientrare nel gioco della politica. A condizione che sappia che la cultura della Grande Bruttezza non è la sua. E perciò la smetta di cercare scorciatoie, di pensare le sconfitte come conseguenza di un destino cinico e baro, di cercare i buoni senza macchia (non ce ne sono!), di gridare per non proporre. Forse sono un utopista, ma c’è bisogno di utopia.

Da corradinomineo.it


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