Economia sociale per uno sviluppo ed un benessere solidali

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di Augusto Battaglia

La grave crisi economica che ha investito il pianeta sta ormai provocando  effetti negativi, di lunga durata, su sviluppo, occupazione e qualità della vita in molti paesi. Rischia, in particolare, di compromettere quel modello di lavoro e di welfare che ha garantito dal dopoguerra in Europa benessere, diritti, crescita economica e sociale. Crisi strutturale e di sistema, quindi, determinata in particolare dalla speculazione finanziaria e dalla palese carenza di governo dell’economia globalizzata.

Urgono misure per recuperare competitività e promuovere, soprattutto, sviluppo e occupazione. Misure non più rinviabili per il sistema Italia, caratterizzato da alto debito pubblico e forte calo di produzione industriale, consumi ed esportazioni, con un’impennata di licenziamenti e cassa integrazione. La disoccupazione è al 12,7 per cento, ma per i giovani naviga oltre il 40, con le donne ferme a uno scarno e inaccettabile 46,4 per cento di occupate a fronte di una media europea del 56,5. Cresce, così, la povertà e la ridotta capacità di spesa delle famiglie va ad indebolire ulteriormente aree importanti del sistema economico.

A fronte di ciò, archiviate le vaghezze berlusconiane, la pur positiva azione dei Governi, condizionata dai necessari tagli di spesa, appare ancora debole nelle misure di rilancio dell’occupazione. Manca un’energica azione che incoraggi investimenti e motivi soprattutto i giovani a «fare impresa». E non vi è dubbio che l’economia sociale per le sue caratteristiche di sistema di imprese solidali e partecipate, legate al territorio e ai suoi bisogni, possa svolgere, se sostenuta, un ruolo determinante nel conseguimento degli obiettivi di crescita sostenibile e piena occupazione fissati dalla Strategia di Lisbona.

L’economia sociale rappresenta in Europa il 10 per cento delle imprese, se ne contano oltre 2 milioni e garantiscono il 6 per cento dell’occupazione. In Italia sono oltre 12mila con quasi 400mila occupati, impegnate prevalentemente nei servizi, ma anche in logistica, trasporto e produzione di beni. Sono in gran parte cooperative sociali e regolate da un quadro normativo che prende le mosse dalla legge delega 118/2005 e le definisce «organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale».

Un potenziale importante per lo sviluppo, come sostengono ben 240 accademici di 29 paesi, tra questi Borzaga, Zamagni e Zevi, firmatari nel luglio 2010 dell’appello «Dalle parole ai fatti, sostegno alle cooperative e imprese sociali per un’Europa più inclusiva, sostenibile e prospera». Lettera aperta ai vertici dell’Unione che prende spunto dalle dichiarazioni sull’importanza del settore più volte espresse da Commissione e Parlamento europeo. Il ruolo di nuove e vecchie forme di economia sociale, si legge, è più importante che mai nell’attuale fase di crisi economica, alla luce dei limiti dei paradigmi economici tradizionali ed istituzionali e dell’aggravamento del tema dell’esclusione sociale in tutta Europa. Negli ultimi decenni, si sostiene, i policymakers europei hanno posto poca attenzione all’economia sociale e si registra una scarsità di iniziative a livello di politiche pubbliche che ne facilitino la crescita.

Il documento sollecitava una politica economica e industriale orientata ad una visione pluralista delle forme di impresa, riconoscendo le specificità delle imprese sociali, per il loro apporto in termini di inclusione e coesione sociale. Chiedeva politiche concrete a supporto del settore, in particolare in materia fiscale, di procurement pubblico e allocazione dei fondi strutturali. Innovazioni utili a superare quella visione dicotomica, Stato-mercato, che ha sottratto spazio al pluralismo delle tipologie di impresa, come condizione necessaria per creare quello spazio economico più sano e competitivo che è al centro delle strategie comunitarie.

La risposta non si è fatta attendere. «L’Europa di domani si fonda sulla crescita economica sostenibile, solidale ed inclusiva», si legge nella Comunicazione della Commissione Ue dell’ottobre 2011. La cosiddetta Social Business Iniziative indica misure e provvedimenti necessari al sostegno dell’impresa sociale e pone le condizioni per la crescita di un’economia sociale di mercato forte e dinamica. Il documento si propone di aiutare lo sviluppo del settore, di farne emergere con idonee misure il grande potenziale inespresso e di promuovere la responsabilità sociale d’impresa affinché profit e non profit partecipino attivamente alla creazione di benessere sociale.

Una linea ripresa dall’Appello degli imprenditori sociali del settembre 2012 da Riva del Garda. Rivolto alle istituzioni pubbliche e al Governo, ma anche al mondo delle imprese e della finanza, chiedeva provvedimenti mirati in vista di tre obiettivi. Risolvere il paradosso che vede l’impresa sociale indicata come veicolo di innovazione sociale e, al tempo stesso, vessata dai tagli alla spesa pubblica. Collocare l’impresa sociale al centro delle politiche di sviluppo, come indicato dal Social Business Iniziative. Ampliarne, infine, i settori di attività e fare leva sulle esperienze consolidate per nuove startup.

È tempo, allora, di dare slancio alla diffusa presenza di esperienze ed organizzazioni che caratterizzano questo originale pezzo del sistema economico. Tra queste spiccano la rete Iris Network, la REIS con i Consorzi CO.IN, Bastiani e le cooperative Capodarco, il Centro Internazionale dell’Economia Sociale, l’Agenzia per la sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Particolarmente innovative anche azioni promosse da enti locali, come la Comunità Cooperativa di Melpignano cui aderiscono cittadini, soci-utenti di una rete diffusa di impianti fotovoltaici. Il marchio sociale per una proficua cooperazione tra profit e non profit del Comune di Monterotondo. L’avviso pubblico del X Municipio di Roma con Camera di Commercio e Credito Cooperativo per la creazione di nuove imprese sociali.

Mondi e realtà che chiedono al Parlamento misure concrete, a partire dall’ampliamento dei settori in cui opera l’impresa sociale, in particolare commercio equo e solidale, alloggio sociale, microcredito e servizi per l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, disabili, ex detenuti, disoccupati di lunga durata, giovani Rom, quelle fasce deboli indicate dal Regolamento CE 800/2008, e la possibilità di  remunerare almeno in parte il capitale investito. E cominciano a trovare ascolto. Con la proposta Bobba, in particolare, che prevede anche per le nuove imprese sociali una contribuzione limitata nella misura degli apprendisti per i nuovi assunti under 30. Agevolazioni fiscali e l’estensione alle imprese sociali di una serie di vantaggi già vigenti per il privato sociale in materia di erogazioni liberali. Agevolazioni contributive anche nelle riconversioni parziali o totali in impresa sociale di aziende in crisi. Propone poi che una quota di immobili trasferiti dallo Stato  agli enti locali sia destinata allo sviluppo dell’impresa sociale. Intende, infine, istituire presso il Ministero del Lavoro uno specifico Fondo nazionale per il finanziamento di progetti innovativi di impresa sociale.

In questa prospettiva sarà importante che prendano vita programmi di sviluppo territoriale tesi a valorizzare le risorse locali e a dare risposta ai crescenti bisogni di famiglie e comunità. Nuove politiche che segnino il passaggio dal vecchio assistenzialismo ad un più virtuoso sviluppo solidale. Che promuovano nei territori contratti di rete per la realizzazione di progetti comuni di interesse locale e più elevati livelli di inclusione sociale, anche introducendo clausole sociali negli appalti. Ed in questo quadro le Linee Guida recentemente emanate dalla Autorità di vigilanza sui contratti pubblici offrono un’inedita opportunità di promuovere nuova imprenditorialità sociale e, soprattutto di valorizzare le tante risorse locali che possono contribuire ad uno sviluppo innovativo e, soprattutto, solidale.

Il mondo dell’economia sociale attende fiducioso le decisioni del Parlamento. Conta sulla capacità delle imprese pubbliche, degli enti locali in particolare, di cogliere l’inedita opportunità delle Linee Guida. E si aspetta che il Governo, magari promuovendo una Conferenza Nazionale sull’economia sociale, adotti un piano nazionale che individui nell’impresa sociale una componente strategica di una nuova fase di sviluppo e di crescita economica e civile del paese.

Da confronti.net


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