Sanità 2014: si va in scena!

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Se il 2013 è stato, in ordine cronologico, solo l’ultimo annus horribilis della sanità, quello che si è appena aperto, all’insegna del caso De Girolamo e la gestione extra legem del sistema beneventano, non preannuncia nulla di buono. O meglio, suggerisce, purtroppo, solo una realtà che si ripete, sempre uguale a se stessa, senza soluzione di continuità tra un prima e un dopo. Il sistema sanitario nazionale, lo sappiamo, non gode di buona salute da decenni: insidiato dal deficit incolmabile delle Regioni ferito da sprechi e corruzione. A nulla sono valsi i piani di rientro, i tagli lineari, i decreti del governo tecnico e la spending review, se non a decretare il definitivo fallimento di un sistema al collasso.

Prendiamo per esempio il caso Lazio, dove la sanità, commissariata da sette anni (inizialmente stimati in tre), versa in un cronico stato emergenziale, nonostante negli ultimi cinque anni alla Pisana si siano succedute tre diverse giunte, da Marrazzo a Zingaretti, passando per la Polverini. Il 2014, per il presidente in carica e commissario alla Sanità, non si è aperto bene, con la bocciatura senza appello del Piano di rientro e del relativo Piano Operativo 2013-2015 da parte del tavolo di verifica del Ministero dell’Economia.

Un epilogo annunciato dalla relazione di fine mandato del subcommissario di governo alla Sanità del Lazio, Gianni Giorgi che, prima di andarsene, ha lasciato un dossier incandescente, in cui vengono denunciati sprechi, clientele e corporazioni, come norma del sistema. “Le gestioni commissariali – scrive Giorgi – soggiogate dalle clientele e dagli interessi delle corporazioni, non sono riuscite a tutelare l’interesse generale”. C’è “grande sperpero di risorse – chiosa – siamo sull’orlo del default finanziario, complice lo strapotere delle logiche politico-clientelari su quelle tecniche”.

La pratica per i cittadini si traduce nelle cronache di queste prime settimane dell’anno, che narrano di una situazione compromessa al limite del grottesco: un’ambulanza su tre ferma negli ospedali di Roma e provincia con le barelle  impiegate h 24 come posti letto nei pronto soccorsi, perennemente ingolfati; la drammatica situazione del DEA del S. Camillo; lo stato di fallimento finanziario in cui versa il san Giovanni Addolorata di Roma dove, qualche giorno fa, una signora, vittima di un clamoroso errore sanitario accertato con sentenza passata in giudicato, è stata costretta a pignorare gli arredi nella stanza del Direttore Generale stante l’insolvenza dell’Azienda.

E’ chiaro che in un contesto del genere ci si auguri di non finirci davvero mai, in ospedale. Soprattutto perché, qualora disgraziatamente si dovesse incorrere in un errore medico, il risarcimento del danno subito non sarebbe scontato. Si riapre allora l’annosa questione del mancato obbligo assicurativo delle strutture sanitarie, responsabili in solido con il personale medico di eventuali danni causati ai pazienti. Qui la situazione si fa schizofrenica giacché, se da un lato lo Stato obbliga i medici a stipulare polizze assicurative sempre più care –  determinando una fuga collettiva dei professionisti più capaci verso l’estero, Emirati Arabi in testa – dall’altro lascia libere ASL ed Aziende ospedaliere da qualsiasi vincolo assicurativo, garantendo loro una sostanziale impunità giacché se non pagano – ed in genere NON pagano – il peggio che può capitare è l’asporto di qualche litografia dalla stanza del Direttore generale.


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