Libertà d’espressione. Strasburgo disapprova ancora l’Italia

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La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo emette un’altra sentenza che punta il dito sulla pena del carcere per chi diffama. A ricorrere è stato stavolta Antonio Ricci (Striscia la notizia)

Pochi giorni dopo la sentenza in favore di Maurizio Belpietro, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo torna a criticare il nostro Paese, dicendo che il carcere per chi fa informazione è una pena ingiusta e sproporzionata, e che viola l’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Corte in questa occasione si è pronunciata a favore di Antonio Ricci, autore di Striscia la notizia, che ha subìto una condanna a quattro mesi e cinque giorni di reclusione e al pagamento di alcune decine di migliaia di euro di danni nei confronti della Rai e del filosofo Gianni Vattimo, per aver diffuso contenuti e comunicazioni di riservata proprietà della prima e aver violato il diritto alla riservatezza del secondo.

LA VICENDA – Nel 1996 la trasmissione di Antonio Ricci aveva mandato in onda in due puntate (21 e 23 ottobre) alcune immagini della Rai che non sarebbero dovute essere state diffuse: si trattava della registrazione di una puntata della trasmissione L’Altra edicola in cui il filosofo Gianni Vattimo e lo scrittore Aldo Busi avevano avuto un’accesa discussione. Nella stessa registrazione si vedeva la conduttrice lamentarsi con i suoi collaboratori, spiegando che l’intento degli autori del programma, nell’invitare i due ospiti, era stato proprio quello di farli litigare per stimolare l’audience.

Nel 1997 la RAI querelò Ricci per aver intercettato in maniera fraudolenta e aver diffuso comunicazioni confidenziali (art. 617quater del Codice Penale). Vattimo si costituì parte civile sostenendo che il suo diritto alla riservatezza era stato violato, e nel 2002 l’autore di Striscia venne condannato dal tribunale di Milano a una pena (sospesa) di quattro mesi e cinque giorni di reclusione e a versare un risarcimento ai querelanti, da stabilire in un procedimento civile a parte, anticipando un acconto di 10mila euro a ciascuna delle parti.

Ricci ricorse in appello, ma nel 2004 la richiesta venne respinta e fu condannato a pagare 30mila euro di danni a Vattimo. L’anno successivo, infine, la Corte di Cassazione dichiarò la prescrizione del reato, confermando però l’obbligo del risarcimento pecuniario.

Ricci allora ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani, sostenendo che la sua condanna violava l’articolo 10 della CEDU, quello che tutela la libertà d’espressione.

LA SENTENZA – I giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che lo Stato italiano, condannando Ricci, ha operato una ingerenza nei suoi confronti, rispetto al suo diritto di espressione. Tuttavia la condanna, fa notare la Corte internazionale, è giustificata perché mira a tutelare la reputazione di un privato cittadino e a proteggere informazioni confidenziali.

La Corte ha riconosciuto a Ricci l’interesse generale della vicenda da lui denunciata, il suo intento di mettere in luce un caso di utilizzazione ipocrita del mezzo televisivo, mostrando l’impoverimento della qualità dell’informazione pubblica. Nello stesso tempo i giudici sottolineano però che Ricci ha voluto stigmatizzare e ridicolizzare un comportamento individuale.

Ancora: visto che la registrazione era stata catturata su una frequenza privata della Rai, ad uso interno dell’azienda, l’autore di Striscia, secondo la Corte, non ha rispettato l’etica giornalistica.

Pur censurando dunque la condotta di Ricci, la Corte europea ha ritenuto che la natura e il peso della condanna inflitta, benché prescritta, siano sproporzionate rispetto all’infrazione, e che manchino circostanze eccezionali che potrebbero giustificarle. La violazione dell’articolo 10, dunque, secondo i giudici, c’é.

Per questo, con sei voti a favore e uno contrario, la Corte ha riconosciuto a Ricci di aver subito un torto, un danno morale, respingendo, per altro verso, la richiesta di “equa soddisfazione”, quantificata dall’autore in 50mila euro.

Leggi anche: Corte Diritti dell’Uomo: diffamazione non può essere reato penale

OSSIGENO


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