La scomparsa dei partiti e il collasso della democrazia

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Scrivo quest’articolo dopo aver rivisto “Viva Zapatero!”, l’agghiacciante film-documentario di Sabina Guzzanti trasmesso venerdì sera da La7. Scrivo perché il mio primo pensiero è andato alla RAI, al fatto che un film del genere dovrebbe essere patrimonio del servizio pubblico, al fatto che non è accettabile la versione di quanti dicono: la Guzzanti è una donna di successo, arriva a fine mese senza problemi e nel 2012 è pure tornata a lavorare in televisione. Cosa volete di più? Molto semplice: vogliamo riaffermare il concetto, purtroppo a lungo calpestato e vilipeso in questi anni, di diritto.

Perché l’articolo 21 della Costituzione non è un inutile orpello o una fissazione da “radical chic” (termine peraltro insulso che sarebbe opportuno consegnare all’oblio insieme a “buonismo”) ma il princìpio cardine della democrazia in qualunque paese occidentale. Perché a noi di quanto guadagni la Guzzanti e di come arrivi alla fine del mese importa poco o nulla mentre ci importa moltissimo il fatto che, se milioni di famiglie italiane faticano ad arrivare alla terza settimana del mese, è soprattutto perché, a suo tempo, chi di dovere ha pensato bene di chiudere i programmi che dicevano troppe verità sgradite al potere. Perché per noi il tema dei diritti non può essere affrontato in un modo o nell’altro a seconda dell’inquilino che risiede a Palazzo Chigi e, meno che mai, accantonato per favorire la permanenza in vita di un governo che fatica a trovare la propria ragion d’essere nonostante gli sforzi di Letta e il sincero impegno di quei parlamentari del centrosinistra che, pur deplorando le larghe intese, stanno facendo il possibile e l’impossibile per evitare che questo drammatico non periodo trascini definitivamente il Paese nel baratro.

E qui è doveroso aprire una parentesi sul Partito Democratico, sul nostro Congresso e sull’infinita serie di errori che abbiamo commesso negli ultimi mesi, per non dire negli ultimi vent’anni.

Perché è inutile prendersela con i social network quando qualcuno, nelle proprie fila, considera onesto e tollerabile venir meno alla parola data. Come è inutile, anzi dannoso, scagliarsi contro i giovani parlamentari alla prima esperienza e accusarli di non essere sufficientemente scaltri quando, per assecondare il populismo demagogico dei vari sfasciacarrozze sparsi per la Penisola, si è pensato bene di eliminare tutti o quasi i propri punti di riferimento e di dar vita a un rinnovamento che a tratti pare di facciata e a tratti esagerato, non riuscendo nemmeno, in questo clima irrespirabile, a far emergere il valore aggiunto costituito dalle tante donne e dalle tante competenze fresche e innovative che pure abbiamo portato in Parlamento. Infine, è non solo dannoso ma addirittura folle continuare a confrontarsi a colpi di lettere e di insulti, senza riuscire a trovare il bandolo della matassa, senza discutere al nostro interno, senza riuscire a metterci d’accordo su nulla o quasi e finendo col cedere sempre, col cedere su tutto, col tentare mediazioni impossibili e fuori da ogni logica con un alleato di governo il cui unico scopo è, dal 1994, quello di tutelare il proprio leader dagli innumerevoli processi che sono stati aperti a suo carico.

Senza renderci conto, e qui veniamo agli aspetti surreali della vicenda, quelli per i quali servirebbe davvero la penna dei grandi romanzieri sudamericani, che così facendo stiamo logorando persino una delle nostre migliori risorse quale Enrico Letta, costringendolo ad incassare una figuraccia dietro l’altra, a doversi presentare all’estero come il leader di un esecutivo senz’anima, con dietro un Parlamento incapace persino di rinnovare il Capo dello Stato e un partito, per giunta il proprio, la cui dialettica interna ha assunto da qualche tempo toni ed espressioni sui quali è opportuno sorvolare.

Al che, seguendo l’insegnamento di Gramsci in merito all’odio per gli indifferenti, dismetto i panni del giornalista e indosso volentieri quelli dell’attivista e militante democratico. Li indosso per dire che, di questo passo, oltre a divorziare da qualche altro milione di elettori, rischiamo seriamente di compromettere la tenuta democratica dell’Italia, essendo il PD l’ultima speranza cui aggrapparsi prima del baratro, dell’anarchia e presumibilmente dell’arrivo della violenza. Li indosso per esprimere tutto il mio disagio e il mio sgomento nei confronti di un dibattito pre-congressuale (e non oso immaginare cosa possa accadere nei mesi del Congresso) in cui l’unico argomento affrontato finora sono state le regole, le date e l’eventuale separazione (a mio giudizio sacrosanta) della figura del segretario da quella del candidato premier della coalizione. E l’Italia? E il mondo? Cari amici e compagni, ma ci rendiamo conto che, mentre noi perdevamo giorni a commentare le sparate del falco, della pitonessa o del piccione di turno, non lontano da noi è successo di tutto? La Croazia è entrata a far parte dell’Unione Europea, in Egitto è stato deposto il presidente Morsi, in Grecia era stata chiusa la radiotelevisione pubblica, la Turchia è scesa massicciamente in piazza per difendere l’ambiente, tutelare la democrazia e lo stato di diritto e chiedere di avere dal governo “oltre al pane anche le rose”, cioè un maggiore rispetto delle libertà individuali e collettive; senza dimenticarci della Siria, dove da mesi è in atto una vera e propria carneficina e dove da mesi è tenuto in ostaggio l’ottimo cronista de “La Stampa” Domenico Quirico, e dell’Iran, dove il moderato conservatore Roani è atteso dal non semplice compito di riallacciare i rapporti con l’Occidente e rimuovere le chiusure di stampo talebano di un presidente, Ahmadinejad, che ha condannato il proprio popolo all’isolamento internazionale. Per non parlare poi del discorso della giovane attivista Malala Yousafzai alle Nazioni Unite, del barbaro assassinio di due ragazze in Pakistan, colpevoli solo di aver danzato sotto la pioggia e di aver dunque, agli occhi dei fondamentalisti, compiuto un atto osceno, delle rivolte esplose in Brasile per via del rifiuto di un modello di sviluppo basato unicamente sul profitto che purtroppo sta arrivando anche lì e ancora del caso Snowden e della vicenda, per nulla chiara, delle due donne kazake, rispettivamente moglie e figlia di un dissidente inviso al presidente Nazarbaev, che a Roma sono state prelevate in maniera brutale e rispedite nel proprio Paese, dove rischiano di subire ogni sorta di sopruso e vessazione. Amici e compagni, vi rendete conto quanto di mondo c’è al di là del nostro angusto cortile? E noi dove siamo stati in questi mesi? Dove siamo stati di fronte alle parole pronunciate da papa Francesco a Lampedusa? Perché non le abbiamo fatte immediatamente nostre? Capisco che sia dura compiere un simile atto di coraggio quando si è al governo con coloro che, fino a un anno e mezzo fa, governavano col partito di Borghezio e Calderoli, ma è anche vero che, così come ha detto la sua Cicchitto, avremmo potuto benissimo fare anche noi le nostre considerazioni. Invece niente, ancora una volta abbiamo scelto la strada della prudenza, delle posizioni prese e non prese, del dire e non dire, senza nemmeno riuscire a valorizzare, come detto, lo straordinario lavoro di centinaia di parlamentari che ogni giorno danno l’anima per alleviare le sofferenze di una Nazione allo stremo. Peccato che lo sappiamo solo noi addetti ai lavori, che chi lavora, produce e si impegna di più non faccia mai notizia e che in televisione vadano quasi solo coloro che nelle interviste mettono sempre a posto il mondo ma alla prova dei fatti non hanno ancora avanzato una sola proposta degna di nota.

Vogliamo che sia davvero questo il nostro destino? Non per niente, ma stiamo rischiando seriamente di consegnare l’Italia alla tristezza del nulla, a una palude indecifrabile in cui non c’è più conflitto, non c’è più alcuna passione civile, non c’è più nemmeno la voglia di battersi e di credere in qualcosa. Il problema, purtroppo, è che una democrazia fondata solo sul cinismo, sull’indifferenza e sulla negazione di ogni diritto e valore ideale non si chiami più democrazia. E il rischio è che questa fase preceda il cancro per cui Gramsci è morto a soli quarantasei anni: si chiamava fascismo.


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