“Gli americani ci guardano con ammirazione”. A colloquio con Stefano Ferrari

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Stefano Ferrari, romano, figlio d’arte. Suo padre Franco è un noto direttore della fotografia, apprezzato ed amato negli ambienti televisivi della Rai. La madre, Giulia Esposito, è regista presso la stessa azienda. Classe 1989, Stefano dimostra fin da piccolo una vera e propria passione per le arti sceniche, dal teatro al cinema alla televisione. Sembra normale, quando cresci un ambiente frequentato dalle grandi firme della televisione, artisti, maestranze, tecnici, ma non è così ‘scontato’. E’ quasi sempre il talento a prevalere su qualunque genere di stimolo proposto dall’ambiente familiare. Il talento e la forza di volontà. E del talento e della volontà di Stefano Ferrari, nonostante la sua giovane età, si accorgono molti importanti nomi italiani: da Maurizio Panici (con cui collabora in qualità di assistente alla regia per l’allestimento dello spettacolo teatrale “ Divorzio Con Sopresa”) a Michele Guardi che per il grande allestimento de “I promessi sposi” si avvale di papà Franco per la firma del progetto luci sia teatrale che televisivo.
Così, mischiato nella grande squadra degli elettricisti, occupandosi di tutte le fasi del montaggio, Stefano riesce a farsi il più accreditato dei registi televisivi, e dal direttore della fotografia. Alla prima ed unica spettacolare rappresentazione de “I Promessi sposi” allo stadio San Siro di Milano con la ripresa televisiva, Stefano viene assegnato al “Follow Spot”, che mira a sottolineare i momenti fondamentali del racconto. Un ruolo che richiede precisione e sicurezza.
All’esperienza milanese seguono allestimento di tre importanti programmi televisivi a Tirana, in Albania. Come assistente light-designer collabora all’allestimento della mostra su Federico Fellini curata dal famoso scenografo premio Oscar Dante Ferretti al “Mattatoio” di Roma e disegna luci per la ristrutturazione della Sala Dei Cariatidi a Milano.
Come molti ragazzi di talento bisognosi di grandi confronti e di ‘possibilità’, Stefano Ferrari, però, sceglie l’Oltreocenano, dove idee, volontà, professionalità sono prese in grande considerazione e valutate con le attenzioni che meritano. La sua identità come Direttore della Fotografia, in teatro, televisione e cinema, passa attraverso tante forme d’arte e collaborazioni prestigiose.
Abbiamo voluto incontrarlo per approfondire la sua storia artistica che, certamente non senza nostalgia per Roma e per l’Italia, lo ha portato a trasferirsi negli States. E’ qui che vuole allargare i suoi orizzonti, mettersi in gioco, produrre senza le annose difficoltà che molti talenti puri stanno incontrando nostro Paese: un Paese dove, inspiegabilmente, arte e cultura trovano sempre meno spazi di visibilità e condivisione.

Stefano, tuo padre, Franco Ferrari, è uno dei più stimati direttori della fotografia, tra quelli che hanno fatto la storia del Servizio pubblico da “Il segno del comando” al “Festival di Sanremo” a “Rock Politique”. E’ a lui che devi la tua passione?
Beh mio padre è fonte di ispirazione ogni giorno nel mio lavoro, ho imparato tanto, per non dire tutto, da lui. Avere un così importante esempio in famiglia, di arte e passione, è stato fondamentale per la mia formazione come direttore della fotografia. Ho sempre cercato di prendere spunti e ispirazione dai progetti a cui mio padre ha lavorato. Poter avere una persona che conosce così bene il mestiere non è certo facile alle volte, poichè nessun errore è perdonato, ma grazie ai suoi appunti sono sempre riuscito a migliorarmi. Questo mestiere si impara non certo seduto su un libro ma bensì, per citare una frase che mio padre ripete spesso, “rubando con gli occhi”. Infondo, tale padre, tale figlio !

I primi studi nel campo dell’arte?
Come dicevo prima, la miglior scuola per me è stato il set. Ho lavorato come elettricista prima e come assistente light designer poi, al fianco di persone molto valide e professionali da cui ho imparato molto. I primi veri e propri studi però sono iniziati al liceo grazie alla passione di uno dei miei professori, per il teatro. Con lui ho capito quanto fosse importante l’ analisi approfondita della sceneggiatura/copione per creare immagini dalla parola scritta, per lasciare che l’immaginazione fotografica traducesse al meglio i concetti scritti. L’Accademia, mi ha dato le basi fotografiche tecniche e artistiche per affinare le mie qualità e conoscenze pratiche del mestiere.

Perché hai deciso di andare a perfezionarti negli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti rappresentano il fulcro in cui il mondo gira, in questo paese i giorni non si ripetono mai e la quotidianità è un termine sconosciuto. New York, in particolare, è un set a cielo aperto dove si respira cinema dalla mattina alla sera. La competizione e la frenesia che c’è in questa città, fatta l’abitudine, ti spinge a migliorarti in continuazione. Qui c’è voglia di fare, e senza questa, non si sopravvive. New York può inghiottirti se non si sta al passo. Le possibilità sono tante, ma anche le persone. Se non si primeggia non si è nessuno. Amo il mio Paese, che è continua fonte di ispirazione per me, ma a New York vive il mondo, ed è qui che voglio dimostrare le mie capacità… perchè solo quando ci si confronta con gente di ogni provenienza, si può diventare i migliori.

Cosa è successo quando sei arrivato New York? Sei riuscito ad ottenere subito delle collaborazioni importanti?
A New York ho girato molto, da music video a documentari, cortometraggi e pubblicità iniziando da progetti studenteschi fino ad arrivare a collaborare con grandi personaggi dello show business e del cinema indipendente, tra cui la cantante vincitrice dei South African music awards Nomsa Mazwai, alla star kazaka MADu ed un altro music video per il gruppo Coastgaard, considerata una delle band più promettenti della scena newyorkese. Per poi lavorare ad una pubblicità per l’ organizzazione no-profit di Lady Gaga, la “Born This Way Foundation” ed essere nominati ad uno dei festival più importanti di commercial, gli AICP Next Awards; per non dimenticare le collaborazioni con i premi oscar Mara Kassin, la regista/produttrice Yael Melamede e il direttore della fotografia Luca Fantini.

Quali sono i lavori di cui vai più fiero?
Partendo dal presupposto che un direttore della fotografia non è mai soddisfatto di ciò che gira, recentemente ho girato un progetto sull’ artista Kurt Cobain che ha avuto molto successo sul web, adesso siamo in fase di perfezionamento del girato e dai presupposti sembra che il corto potrà andare molto bene ai festival. In questo momento però tutte le mie attenzioni sono per SIX, che è un film a cui sono molto legato. Questo progetto è oramai un anno che sta andando avanti e che speriamo di chiudere prima della fine dell’estate

In questi giorni a cosa stai lavorando?
In questo momento sono in fase di post produzione di un music video e di tre cortometraggi e nella pre-produzione di SIX che si girerà all’ inizio di Luglio. SIX e’ uno short film su un bambino che trova una pistola giocando da solo su un tetto. E’ una storia tra immaginazione e realtà, sull’innocenza contro il potere delle armi e sulla vulnerabilità del mondo infantile contro la negligenza del mondo adulto. Il tema affrontato nel film è molto sentito negli Stati Uniti, specialmente dopo le tragedie avvenute nei mesi passati a causa delle armi da fuoco in mano ai bambini. Il film è stato scritto e sarà diretto dal pluripremiato regista Frank Jerky e prodotto dalla talentuosa produttrice Ella Nuortila. Recentemente il progetto ha ricevuto molta attenzione da parte di alcuni dei maggiori esponenti del cinema internazionale, delle organizzazioni contro l’ uso delle armi e delle associazioni dei parenti delle vittime di incidenti da armi da fuoco.

Una bella responsabilità….
Sì, sento di avere una grossa responsabilità in questo film, per l’ importanza che il progetto ha assunto e per il fatto che il film sarà raccontato per gran parte dalle sole immagini e non dai dialoghi, che sono ridotti all’osso. Sarà un costruire continuo di tensione attraverso climax cinematografici e performance degli attori. Un mix di emozioni che costruiremo e distruggeremo continuamente in vero stile western. Arrivo a girare questo film con la consapevolezza delle capacità mie, della mia crew e di tutte le persone che si stanno dedicando al progetto. E pensare che tutto era iniziato come mia tesi. Viva l’ America !

Quali differenze di metodo riscontri principalmente tra l’Italia e gli Stati Uniti?
Negli States il duro lavoro paga sempre, in Italia c’è talmente tanto talento sprecato. Quanta gente è costretta ad abbandonare le proprie passioni per poter garantirsi un salario a fine mese. In America l’arte paga, l’ esperienza paga, la voglia di fare paga. In America, noi italiani siamo guardati con ammirazione, perchè noi l’arte ce l’abbiamo nel sangue, il buon gusto e l’eleganza sono qualità europee, ma purtroppo sembra che noi queste qualità non le vediamo . In America ci amano, noi invece ci disprezziamo. Sul set in America si è molto pragmatici, tutto è organizzato nei minimi dettagli, non c’è ne spazio ne tempo per errori, mentre in Italia c’è un po’ meno di organizzazione, ma più capacità intuitiva nel risolvere i problemi. Spesso, in Italia un direttore della fotografia è costretto a lavorare in tempi molto limitati a causa di ritardi continui e dei budget limitati Mentre in America ci sono i soldi per comprarlo, il tempo.

Tuo padre che pensa delle tue scelte artistiche?
Difficile rispondere, dovresti provare a chiederlo lui (ride) visto che con me si esprime a monosillabi, e fa bene, altrimenti mi monterei la testa. A parte gli scherzi, penso sia felice anche se alle volte un pò preoccupato. Conoscendo questo mestiere talmente bene è consapevole che non sempre la strada sarà in discesa e che le difficoltà sono sempre dietro l’angolo ma ho sempre avuto il suo appoggio sia artistico che morale. Ho iniziato questo mestiere seguendo le sue orme, ma adesso ho grande volontà di scrivere il mio futuro con le mie mani.

Quali sono i tuoi riferimenti artistici americani per ‘scrivere il tuo futuro con le tue mani’?
Sono più quelli italiani che americani. Tra quelli italiani sicuramente Tonino Delli Colli, Dante Spinotti, Franco Ferrari, Vittorio Storaro e Luca Bigazzi grandi interpreti del cinema italiano ed internazionale; tra quelli americani mi sento di appuntarne due: Roger Deakins e Emmanuel Lubezki.

Il tuo sogno nel cassetto, Stefano?
Sono ancora alla ricerca di un cassetto abbastanza grande…


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