Congo. Violenze e uccisioni a danno dei civili, e i peacekeepers stanno a guardare

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Nell’ennesimo conflitto in corso nella regione orientale del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo non si fronteggiano buoni e cattivi, non ci sono partiti o gruppi che si battono per restituire giustizia, libertà e democrazia ad una popolazione spogliata di tutto, anche della propria dignità, ultimo bene prezioso di chi soffre. Ci sono solo gruppi di potere ed economici che si scontrano attraverso il disinvolto uso di esercito regolare e gruppi di guerriglia. Ci sono solo gruppi di potere ed economici che si scontrano attraverso il disinvolto uso di esercito regolare e gruppi di guerriglia. I motivi di questa guerra che dura da 18 anni (con rare e brevi tregue) è il controllo delle enormi risorse minerarie del sottosuolo, la vera maledizione del Congo. Per questo banditi, esercito regolare corrotto, gruppi di ribelli dai nomi altisonanti ma dallo scarsissimo rispetto per le popolazioni inermi, si scontrano senza pietà per il controllo dell’estrazione dei preziosi minerali. Ruanda, Burundi e Uganda (paesi confinanti o che hanno forte influenza politico-economica) hanno dati di export molto superiori alle reali risorse minerarie, grazie al contrabbando che aumenta di mese in mese diretto verso i loro confini.

Ovvio che queste nazioni non stanno a guardare né auspicano la pace ma si sono ritagliate un ruolo attivo per rendere instabile la regione, come dimostra il loro intervento diretto in quella che fu definita la “guerra mondiale africana” che tra il 1998 ed il 2003 coinvolse in Congo 8 nazioni africane causando quasi 5 milioni e mezzo di vittime. Nel 2011 il presidente Kabila dispose il blocco dell’estrazione per coltan e cassiterite dopo il varo negli Stati Uniti di una legge sulla tracciabilità dei minerali, considerati “insanguinati” proprio come i diamanti perché i gruppi armati li hanno usati per finanziarsi. Ma ovviamente concretamente è rimasta solo una buona intenzione perché qui 12 milioni di persone vivono con l’estrazione. Quindi tutto continua come prima, sotto lo sguardo attento  dei soldati dell’esercito regolare che non percepiscono stipendio e di quelli ruandesi che qui sono di casa. Ed il contrabbando vola, arricchendo chi lo organizza.

Questa volta a muovere guerra allo stato centrale è il gruppo di soldati disertori e ribelli del Movimento 23 Marzo (M 23), in conflitto con il presidente Kabila circa la loro collocazione all’interno dell’esercito congolese. A guidarli è Bosco Ntaganda, un militare quarantenne ricercato dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità consumati nel corso di precedenti conflitti etnici. Ad oggi i profughi sono 400 mila.

Ma ad indignare la popolazione civile è la inerme presenza della più grande missione di pace al mondo. Quella dei 17 mila caschi blu delle Nazioni Unite che da anni sono dislocati nell’area con il compito (tutto teorico) di proteggere i civili dalla violenza. Vale bene ricordare che il costo di queste missioni si aggira su numerosi milioni di euro al giorno a carico della comunità internazionale. Ed anche questa volta per non smentirsi questi “soldati di pace” hanno assistito a violenze su donne, esecuzioni sommarie di civili (puntualmente denunciate proprio dalle Nazioni Unite, “datori di lavoro” dei peacekeepers) senza intervenire. Le Nazioni Unite si difendono: i peacekeepers non possono sostituirsi alle forze di sicurezza, ovvero all’esercito regolare che si sta sciogliendo come neve al sole. Mentre il ministro degli esteri francese chiede la revisione del mandato per garantire la reale salvaguardia della popolazione civile.

“Non hanno fatto molto. La popolazione non è stata protetta in maniera efficace” ha detto Monica Corna, volontaria che lavora a Goma con i bambini del Centro Don Bosco per il Vis, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, una organizzazione non governativa di ispirazione cattolica. “Avevo chiesto la presenza di una pattuglia di peacekeepers dell’Onu vicino al centro per proteggere i 7.500 profughi (la maggioranza bambini) che abbiamo accolto nel centro ma non si è visto nessuno. Del resto i ribelli dell’ M23 hanno preso il controllo di Goma in poche ore, senza incontrare resistenza”. Il salesiano padre Piero Gavioli, direttore del Centro Don Bosco, è duro. “I peacekeeprs dell’Onu? Erano nella loro base, tranquilli come sempre. Forse non sapevano neanche quello che stava succedendo. Tutto questo è scandaloso” ci dice con amarezza.


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