Ricatto al Presidente
o manganello mediatico?

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La copertina dell’ultimo numero del settimanale (della famiglia Berlusconi) Panorama e l’insulso editoriale in cui si pretende di dire la verità sulle intercettazioni di alcune telefonate fra l’ex Ministro dell’Interno, Nicola Mancino ed il Presidente Napolitano, agitano la questione delle intercettazioni di telefonate, irrilevanti per il processo, nel corso delle quali casualmente sono finite delle comunicazioni fra la persona intercettata ed il Presidente della Repubblica, e la prospettano come una sorte di ricatto al Presidente.

L’uso ricattatorio di intercettazioni illegalmente acquisite è una costante nella vita politica italiana, come dimostra, fra le altre cose,  la vicenda delle intercettazioni del segretario ds Fassino, illegalmente sottratte, prima ancora che venissero versate agli atti del processo e poi pubblicate il 31 dicembre 2005 sul Giornale della famiglia Berlusconi. Vicenda per la quale gli autori della sottrazione furono condannati mentre i fratelli Silvio e Paolo Berlusconi sono stati rinviati a giudizio.

Come è una costante della vita politica italiana, almeno da quando Silvio Berlusconi è sceso in campo, l’uso dei giornali di famiglia come manganello mediatico per colpire oppositori ed intimidire magistrati ed autorità.

Il manganello mediatico di Berlusconi non si è limitato a bastonare “soltanto” i magistrati che svolgevano indagini fastidiose, ma non ha esitato – all’occorrenza – a colpire il Capo dello Stato.

A cominciare dal Presidente Scalfaro che nei primi mesi del 1995 fu oggetto di forsennati e ripetuti attacchi ingiuriosi che miravano ad intimidirlo per costringerlo a sciogliere le Camere che avevano sfiduciato Berlusconi.   .

Anche il Presidente Napolitano è stato oggetto, in più occasioni, del manganello mediatico di Berlusconi. Lo scontro più duro si è verificato quando il 6 febbraio del 2009 il Consiglio dei Ministri ha deliberato un delirante decreto legge sul caso di Eluana Englaro ed ha ingaggiato un durissimo braccio di ferro con il Presidente della Repubblica, che è stato accusato di “assassinio” se non avesse firmato il decreto.

Un’altra manganellatura è stata effettuata dal “Giornale” di famiglia del 15 agosto 2010 attraverso un’intervista dell’on. Maurizio Bianconi (vicepresidente dei deputati del PdL) con la quale si lanciava al Presidente Napolitano l’accusa di “tradire la Costituzione”.

Nell’articolo con il quale si denunziano i presunti ricatti legati alla vicenda delle intercettazioni, l’editorialista rivendica che “è stato Panorama a rivelare in giugno l’esistenza di telefonate fra Mancino e Napolitano, intercettate dalla Procura di Palermo”.

Quindi è proprio il settimanale di famiglia che scopre le carte dell’uso “ricattatorio” e ci fa sapere quale parte politica intende avvalersi delle intercettazioni nel tentativo di intimidire e/o condizionare l’uso dei Poteri del Presidente. Il gioco è fin troppo scoperto.

Ma a questo punto bisogna chiedersi, la Procura di Palermo che cosa c’entra, ha responsabilità in questa vicenda in cui una parte politica lascia trasparire l’intenzione di avvalersi delle intercettazioni  per mettere in difficoltà il Presidente?

E’ bene ribadire che l’intercettazione casuale di soggetti che non devono essere intercettati, è un’evenienza che non si può impedire perché imprevedibile. Se una procura italiana avesse intercettato, all’epoca, il capo della banda della magliana, Enrico De Pedis, sospettato del rapimento della giovane Emanuela Orlandi, qualora costui avesse fatto una telefonata al Santo Padre, persino il Papa sarebbe stato  intercettato!

E la sua comunicazione acquisita agli atti dell’inchiesta. Quindi gli inquirenti si sarebbero dovuti porre il problema se l’intercettazione della comunicazione di Enrico De Pedis con il Santo Padre dovesse essere considerata rilevante o meno in giudizio e qualora l’avessero ritenuta irrilevante, avrebbero dovuto disporne l’eliminazione secondo la procedura prevista dalla legge.

La procedura penale è improntata a criteri di trasparenza e garantismo. Per questo non è consentito al Pubblico Ministero decidere quali intercettazioni versare nel processo e quali no, senza che ne venga informata la difesa dell’imputato. La questione della utilizzabilità/inutilizzabilità delle intercettazioni e della loro eventuale irrilevanza, deve essere portata dinanzi ad un giudice terzo che decide, sentite le parti, poiché il diritto alla riservatezza delle parti non implicate nel procedimento penale non può prevalere sul diritto alla difesa dell’imputato. Nel caso che le intercettazioni casuali riguardino soggetti, come i membri del Parlamento, che, per le prerogative costituzionali legate alla funzione esercitata, non possono essere sottoposti ad intercettazione (salvo autorizzazione della Camera a cui appartengono), la legge attuativa dell’art. 68 della Costituzione (L. 20 giugno 2003 n. 140) ha confermato la procedura già prevista dal codice di rito. Vale a dire è previsto che decida il giudice sulla loro eventuale distruzione, dopo aver sentito le parti in Camera di Consiglio.

Il conflitto insorto fra Presidente della Repubblica e Procura di Palermo, non riguarda il fatto in sé. Cioè che siano state eseguite delle intercettazioni che hanno coinvolto indirettamente il Presidente,  ma riguarda la procedura da utilizzare per eliminare tali intercettazioni, che non hanno nessuna rilevanza nel processo penale, la cui diffusione, tuttavia, può risultare sconveniente come lo sarebbe qualunque conversazione privata di chi eserciti una alta carica istituzionale.

Sarà la Corte Costituzionale a risolvere il conflitto e a stabilire se in questo caso, per la particolare funzione costituzionale dell’organo, i magistrati del pubblico ministero siano autorizzati a procedere alla distruzione senza passare per l’udienza camerale.

Se la Corte accogliesse il ricorso della Presidenza della Repubblica, non sarebbe certamente una sconfitta per i magistrati, né una delegittimazione delle norme sulle intercettazioni. Semplicemente sarà chiarito quale procedura si deve adottare per eliminare dal processo le intercettazioni che casualmente coinvolgessero il Presidente della Repubblica (o il Papa).

Il polverone di insinuazioni che la stampa di famiglia di Berlusconi sta agitando in questo momento non può essere utilizzato per assurde rivincite volte a disarmare le forze dell’ordine di uno strumento di indagine, come le intercettazioni, fondamentale per l’efficienza del controllo di legalità.


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