L’Espresso racconta le morti sul lavoro

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E’ in home page oggi sul sito dell’Espresso on-line l’inchiesta di Michele Azzu sulla piaga dei morti sul lavoro. L’articolo di Azzu prende il via dai dati ospitati spesso dal nostro portale e tratti dall’osservatorio di Bologna gestito da Carlo Soricelli. Enorme spazio viene inoltre dedicato alle battaglie portate avanti da Marco Bazzoni.
Di seguito l’articolo tratto da l’Espresso.

Morti sul lavoro, le cifre vere
di Michele Azzu

L’Inail continua a fornire numeri molto riduttivi sulle vittime degli ‘incidenti’. La durissima denuncia dell’Osservatorio di Bologna: “I numeri ufficiali dei decessi sono sottostimati del 25 per cento. E gli infortuni non denunciati sono almeno 250.000”
(22 giugno 2012)
«Non chiamatele morti bianche», dice Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico di Firenze, riferendosi alle morti sul lavoro. «Fa pensare che non ci siano colpevoli, che sia una cosa pulita, e non è mai così». Marco, come Carlo Soricelli che ha creato l’Osservatorio Indipendente morti sul lavoro, ha lottato tutta la vita per la sicurezza sul lavoro. Entrambi, fino a un mese fa, erano considerati due teste calde. Due persone che insistevano sui numeri delle morti, mentre i dati ufficiali Inail dicono una cosa diversa: le morti sono in diminuzione, anno dopo anno.

Il 20 maggio è cambiato tutto: da quella domenica mattina in cui il terremoto ha fatto crollare i capannoni in Emilia uccidendo quattro operai. A giugno le morti sul lavoro sono già 45, e tra l’otto e l’undici del mese sono morte 17 persone in quattro giorni. L’allarme scatta in tutta Italia: il 15 giugno un’interrogazione in regione Abruzzo, a Brescia il primato italiano con 10 decessi dall’inizio dell’anno. La Cgil di Alessandria lancia l’allarme per nove morti nel 2012 nella sola provincia, mentre a Salerno la Cisl segnala tre morti in otto giorni. Nel Lazio i morti sono 12, e la regione propone una legge per la sicurezza sui cantieri. In Puglia, invece, il direttore regionale dell’Inail spiega che il calo dei decessi va letto alla luce della diminuzione della forza lavoro.

Insomma, non si muore meno sul lavoro ma si lavora meno, o in nero. E anche i dati dell’Inail sarebbero sbagliati: «Secondo i dati del mio Osservatorio nel 2011 le vittime sono aumentate dell’11 per cento», spiega Carlo Soricelli. La discrepanza è dovuta a categorie intere che non vengono conteggiate dall’ente, perché non assicurate. Agricoltori pensionati che muoiono sotto i trattori, militari, forze dell’ordine, pendolari, persone che si spostano per raggiungere il luogo lavoro.

Non ci sono solo i dati
C’è un legame fra queste vicende, una sottile linea rossa che unisce le morti bianche: gli incidenti mortali si ripetono, a distanza di mesi. E’ successo alla metro di Roma, alla Saras dei Moratti. E’ successo nei capannoni del terremoto. Perché la legge non tutela a dovere, e le sanzioni sui responsabili non sono adeguate. La pensa così l’Unione Europea: pochi mesi fa proprio Marco Bazzoni ha scritto una petizione alla Commissione, per denunciare le inefficienze italiane sulle morti nel lavoro. Bruxelles ha risposto: l’Italia non ha ancora recepito le normative comunitarie per la sicurezza sul lavoro, e ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia.

I dati sulle morti non corrispondono
I dati dell’Osservatorio di Soricelli, che è diventato oggi un punto di riferimento, non coincidono con quelli dell’Inail. Secondo i dati Inail, nel 2011 ci sono stati 930 morti sul lavoro, con un calo del 4,4 % rispetto al 2010. Secondo l’Osservatorio le morti nel 2011 sono state invece 1170. «I dati Inail sono sottostimati di circa il 20% ogni anno perché monitorano solo i propri assicurati», spiega Soricelli. Sono tante le categorie che rimangono fuori dal conteggio: gli agricoltori pensionati, i militari, le forze dell’ordine. Sono morti sul lavoro quelle che avvengono nel tragitto da casa al lavoro (e viceversa), ma in questo caso: «I processi durano anni». Sommando queste categorie si stima, invece della diminuzione registrata dall’Inail, un aumento dell’11 per cento rispetto ai dati del 2011.

Per Alessandro Salvati, che coordina la banca dati infortuni dell’Inail la domanda andrebbe ribaltata: «Dovreste chiedervi perchè i dati dell’Osservatorio non coincidono coi nostri, anziché il contrario» Per Salvati l’attività di Soricelli è meritoria, ma: «Fanno un conteggio di morti ‘presumibili’, che potremo fare anche io e lei: Un istituto nazionale statistico rispetta certe regole, e ha il compito di controllare caso per caso». Sulle ‘morti in nero’, ci spiega sempre Salvati, è difficile che l’Istat non le rilevi, perché essendo casi eclatanti ne viene a conoscenza.

Per l’Europa l’Italia è colpevole
Marco Bazzoni, come Carlo Soricelli è un operaio metalmeccanico che ha deciso di impegnarsi per la causa. Per lui il problema non sono i dati dell’Inail ma il fatto che questi vengano considerati dati statistici: «I sindacati vanno dietro all’Inail, sono loro il problema», ci spiega. E per Bazzoni i dati non sono sottostimati solo nelle morti, ma anche sugli infortuni: «Ci sono almeno 200.000 infortuni non denunciati, questa era la valutazione dell’Inca, il patronato della Cgil», afferma. L’ultimo anno in cui l’Inail ha parlato di aumento delle morti sul lavoro è stato il 2006, con 1341 decessi: «Aggiornarono i dati quattro volte fino ad arrivare a gennaio 2008», ricorda l’operaio fiorentino. «Poi scrissero un comunicato sconcertante: l’impennata di morti era da considerarsi esclusivamente come un fatto accidentale».

Marco Bazzoni, come Soricelli non si è mai arreso: nel 2009 ha scritto una petizione-denuncia alla Commissione Europea  sulla conformità del recepimento in Italia (d.lgs 106/09) della direttiva europea 89/391/CEE, volta a promuovere la sicurezza e la salute dei lavoratori sul posto di lavoro. Lo scorso 13 ottobre la Commissione ha risposto che il progetto di ‘costituirsi in mora’ contro lo Stato italiano è stato approvato il 29 settembre. L’Italia ha risposto con una relazione ora in esame a Bruxelles. I punti di rilievo del procedimento europeo sono: deresponsabilizzazione del datore di lavoro, obbligo di valutazione del rischio di stress dovuto al lavoro, tempistiche per redarre il documento sulla valutazione dei rischi di una nuova impresa.

Dalla Thyssen a Novi Ligure.
Deresponsabilizzazione del datore di lavoro, l’Europa non sa che è un costume tutto italiano. E’ dell’aprile 2009 la polemica sulla norma “salva manager” contenuta nel decreto al Testo unico sulla sicurezza del lavoro, del governo Berlusconi. L’art. 10 bis rischiava di portare all’assoluzione i dirigenti Thyssenkrupp di Torino, che verranno poi condannati (aprile 2011) a 16 anni e mezzo per omicidio volontario. Come ora, una norma italiana entrava in contrasto con le normative europee, secondo la Commissione parlamentare lavoro: la direttiva CEE 391 del 1989, proprio sulla responsabilità del datore di lavoro.

I lavoratori Thyssen, ora in mobilità, erano in presidio davanti al comune di Torino lo scorso 14 giugno, per incalzare il sindaco Fassino che un anno fa aveva promesso di occuparsi del loro ricollocamento. Ma c’è un altro particolare: «Su 14 rimasti senza lavoro, otto eravamo parte civile al processo Thyssen», spiega Mirko Pusceddu, portavoce degli operai. Continua: «Crediamo di essere stati discriminati per questo, perché su 34 operai ricollocati all’Amiat e altri 35 all’Alenia sono solo due le persone che come noi erano parte civile».

Spostandoci all’Ilva di Novi Ligure, il 7 giugno Pasquale La Rocca è morto schiacciato da un muletto. L’azienda, nonostante la morte, non ha fermato l’impianto: «Quando siamo arrivati un’ora dopo, comunque, i due reparti a ridosso dell’incidente erano fermi», dice Massimo Repetto della Fiom. Ma anche se gli operai hanno scioperato l’azienda non ha fermato l’impianto, come conferma Repetto. Nella stessa Ilva di Novi Ligure era morto un operaio delle ditte appaltatrici nel 2005, precipitando da tre metri di altezza, come ricorda Bruno Motta, sindacalista all’Ilva fino al 2006. «Ci ho lavorato 32 anni a Novi Ligure, è una realtà molto diversa dall’Ilva di Taranto».

Nessuna legge obbliga quindi l’azienda a fermare gli impianti in caso di incidenti mortali, e nessuna legge potrà trovare dei responsabili per i 17 lavoratori morti sotto i crolli dei capannoni industriali in Emilia, quelli dovuti ai terremoti del 20 e 29 maggio. La normativa antisismica del 2005, infatti, non obbliga costruttori ed aziende a mettere a norma i prefabbricati costruiti in epoca precedente, come abbiamo svelato nella nostra inchiesta ‘Perché sono morti gli operai’. I prefabbricati sono a rischio, ma agibili e in regola, e questo è solo l’ennesimo caso in cui la legge italiana diventa complice delle morti sul lavoro. «Non chiamatele morti bianche», dice Bazzoni. Perché i colpevoli ci sono.

articolo originale a questo link:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/morti-sul-lavoro-le-cifre-vere/2185020//0


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