Il ritorno delle parole perdute

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di Roberto Bertoni
Fabio Fazio e Roberto Saviano non hanno avuto successo solo perché sono due volti noti e perché la loro trasmissione è andata in onda in prima serata. Questi elementi, di sicuro, hanno influito, come senza dubbio è stato importante l’impegno di La 7 nel valorizzare un prodotto culturale che la RAI ha pensato bene di regalare alla concorrenza. Tuttavia, ridurre l’analisi degli ottimi ascolti registrati da “Quello che (non) ho” ad un mero fatto di notorietà dei protagonisti e di pubblicità da parte della rete, rischia di avvalorare i pregiudizi delle numerose penne, rose dall’invidia, che da anni profetizzano la fine del “fenomeno Saviano”, senza accorgersi che alla base della sua popolarità non ci sono formule alchemiche ma il coraggio di affrontare argomenti che molti altri (comprese le suddette penne) ignorano o fingono di non conoscere.

Come ha scritto in una lettera a “Europa” la signora Elena Di Lallo: “Io credo che non tutte le sere, ma con qualche frequenza, trasmissioni di rottura come questa sono necessarie per scuotere il Paese dall’ovvietà. E mi chiedo come abbia potuto la RAI rimandare in onda, nelle stesse ore, della trasmissione de La7, un talk show come Ballarò che, tanto per stupirci, intervistava Gasparri”.

Senza voler nulla togliere all’ottimo programma di Giovanni Floris che, a parte l’antipatia della nostra lettrice nei confronti di Gasparri, anche martedì scorso ha prodotto un buon approfondimento politico, salta facilmente agli occhi lo “spread” che si è venuto a creare tra la RAI (compresa, purtroppo, Raitre) e La7: da una parte, il “solito dibattito”; dall’altra, un festival delle parole, della poesia, delle emozioni e, se è lecito utilizzare questo termine, pure dei sogni.

Personalmente, martedì sera ho fatto zapping: da Floris la politica ufficiale; da Fazio e Saviano la politica del cuore, dei sentimenti, degli sguardi, del teatro civile che, purtroppo, trova spazio quasi solo su La7 e del quale, invece, avremmo un gran bisogno.
La riflessione è stata immediata e, se vogliamo, anche un po’ scontata: ah se solo questi due mondi iniziassero a collaborare! Perché in fondo, ce lo siamo detto tante volte, il vero problema del nostro Paese è proprio questo: lo scollamento della “politica ufficiale” dalle idee e dalle energie della società civile, senza contare il distacco dalla gente che è alla base dell’affermazione grillina e del pericolosissimo aumento dell’astensione.

In quel momento, pensavo a quanto sarebbe bello se alle prossime elezioni i concetti espressi a “Ballarò” e quelli elencati a “Quello che (non) ho” diventassero un tutt’uno nel programma dello schieramento progressista, a quanto sarebbe migliore l’Italia se le denunce di Saviano trovassero uno sbocco e un’applicazione concreta in Parlamento, a quanti elettori tornerebbero di corsa alle urne se solo avessero la percezione di un cambio di passo ad opera di una politica che Berlusconi e i suoi hanno condannato per dieci anni al più assoluto immobilismo.

Inoltre, riflettendo su ciò che andava in onda, mi tornavano in mente tutte le volte che ci siamo interrogati sul senso di vuoto e sulla scomparsa delle parole, su questo decennio barbaro, su una generazione – la nostra – che rischia di essere perduta alla politica e alla vita; e avvertivo un sentimento di gioia e di sollievo, come se in poche ore Fazio, Saviano e i loro ospiti fossero riusciti a curare le ferite, a ricucire gli strappi, a sanare il disagio di un tempo senza storia e dominato dall’incertezza.
In una delle tre serate, ad esempio, Roberto Saviano ha detto: “A parole mascherate corrisponde una società mascherata. Solo difendendo la parola, tornando a darle il suo significato, libereremo anche il nostro Paese”.

All’improvviso, dopo anni di stanchezza e di oblio, sono tornati alla ribalta concetti come solidarietà, equità, giustizia, tolleranza, lavoro e milioni di italiani hanno avuto la percezione che esista ancora una speranza, che ci sia ancora la possibilità di farsi sentire, di dare un senso ai propri giorni, di riscattarsi, di uscire da quest’epoca di nulla (e spesso di nullità) che genera altro nulla (e spesso altre nullità).

Grazie a Fazio e Saviano, adesso la realtà ci fa un po’ meno paura perché finalmente la conosciamo, ne abbiamo osservato il volto, ne abbiamo approfondito gli aspetti positivi e quelli negativi e abbiamo messo insieme i tasselli di un mosaico quanto mai complesso e privo di punti di riferimento.

Da queste parti, non solo su questa rubrica, ci siamo soffermati innumerevoli volte sulla necessità di ricostruire il Paese, di restituirgli fiducia, dignità, credibilità internazionale e ci siamo interrogati a lungo su come raggiungere questi obiettivi.
“Quello che (non) ho” ha trionfato perché, al pari di “Vieni via con me”, è riuscito a fornire delle risposte convincenti ai nostri quesiti, sfidando la grettezza di un certo conservatorismo e la rassegnazione di chi non crede più in niente e in nessuno. Ha puntato sulla lentezza nell’epoca della frenesia, sulla riflessione nei giorni in cui tutto dev’essere immediato, sulla bellezza in uno dei periodi peggiori della nostra storia recente.

È stato veramente alternativo ai caposaldi del berlusconismo e lo ha sfidato e battuto proprio sul suo terreno: quello della comunicazione televisiva, un tempo dominata dal “Grande Fratello” e da un profluvio di reality show e oggi bisognosa di conoscenza, di valori, di novità.
Ha anticipato e segnato il crepuscolo di una stagione, al punto che persino coloro che negli anni scorsi difendevano a spada tratta la tivù spazzatura, presentandola come un fenomeno sociologico da studiare attentamente, ora la condannano e la rinnegano.

Ha saputo interpretare i desideri di un popolo stufo di essere preso in giro e ha accompagnato dolcemente il violento ritorno di verità tanto scomode quanto indispensabili.
Ed è stato, infine, anche perfidamente ironico e tagliente, con la comicità di Luciana Littizzetto e Paolo Rossi e il fine umorismo di Massimo Gramellini.
Tanti anni fa si diceva che la RAI fosse lo specchio del Paese. Da qualche anno, purtroppo, non è più così; ma per fortuna l’Italia migliore ha trovato un altro approdo nel quale far confluire la propria volontà di cambiamento.


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