E due: l’ambasciatore israeliano in italia ha colpito ancora

0 0

A distanza di pochi giorni dalla telefonata al rettore di Roma 3, con la quale ha ottenuto la revoca della concessione della Sala Capizzucchi,  in piazza Campitelli, nella quale si sarebbero dovuti tenere i dialoghi con Ilan Pappé, notissimo storico israeliano, l’ambasciatore israeliano in Italia   ha telefonato, con pari successo, al Preside della Facoltà di Ingegneria della Sapienza, dove, nell’aula 10, mercoledì prossimo si sarebbe dovuta tenere la proiezione del  film  The Sading   Valley  (La Valle che Muore) della regista israeliana Irit Gal. La proiezione avrebbe introdotto un dibattito sul tema del film, cioè sulla  sottrazione ai palestinesi della loro acqua ad opera della società Mekorot che la distribuisce copiosamente agli illegali insediamenti dei coloni israeliani. Si sarebbe discusso anche dell’accordo che, secondo quanto è previsto in uno dei 12 protocolli firmati  dal Governo Italiano  con  il premier Netanyahu in occasione del quarto “incontro al vertice”, tenutosi a Roma il 2 dicembre del 2012,  l’Acea, società  controllata dal Comune di Roma,  dovrebbe stipulare con la  stessa Mekorot .

L’iniziativa era stata organizzata   dal Gruppo Romano  della    Campagna Internazionale  Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni.  Proprio questo  ha suscitato le vivissime proteste dell’ambasciatore israeliano: come si osa ospitare in sede universitaria  una iniziativa che sostiene il  boicottaggio contro Israele?  Per questo stesso motivo       un gruppo di studenti  pare abbia portato  le proprie rimostranze fin nei pressi  della presidenza della facoltà..   Preso tra due fuochi,   il preside ha ceduto e  l’aula 10 non  è stata  più disponibile.

Sorgono a questo punto alcuni  interrogativi.
Quali argomenti avrà mai messo  in campo l’ambasciatore per averla vinta sia con il rettore di Roma 3 che con il preside di Ingegneria, per ottenerne la  resa alle sue indebite interferenze di rappresentante di uno Stato straniero? E quelli che sono andati a protestare in presidenza  chi erano, come si sono qualificati e quali   argomenti   hanno addotto? Inoltre, la libertà di espressione, in difesa della quale si sono mossi tanti capi di Stato e qualche milione di cittadini a Parigi oltre che  tantissimi altrove,   vale solo per le vignette, anche se offensive più che satiriche? Infine, la democrazia consiste   solo nell’andare a votare di tanto in tanto?

Domande dalle risposte difficili. Lasciamole   in sospeso  e veniamo ai fatti.
La Campagna Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni  ha carattere internazionale, vi partecipano entità e movimenti di tutto il mondo, tra cui associazioni palestinesi ma anche   associazioni israeliane e di ebrei, quali:  la Rete Internazionale Ebraica Antisionista, la israeliana Coalition of Women For Peace,  il Machson  Watch, movimento di israeliane che si oppongono all’occupazione e alla negazione dei diritto dei palestinesi di circolare liberamente nella loro Terra, nonché  l’associazione italiana Ebrei Contro l’Occupazione. In secondo luogo, va rimarcato che il boicottaggio è una forma di lotta non violenta; mira non solo a recare un danno economico ma anche, e forse soprattutto, a sensibilizzare le opinioni pubbliche dei vari paesi  e contribuire ad    isolare Israele nel contesto internazionale per  indurlo a ricercare con serietà il modo di superare il conflitto con il Popolo Palestinese.. E’ un mezzo   efficace, che    ha  contribuito   non poco alla eliminazione in maniera incruenta dell’aparteheid in Sudafrica e  si confida che  possa avere successo anche per risolvere  la questione palestinese. E’ un mezzo pacifico, ma se lo si impedisce  qual  potrà essere l’alternativa?

Per quel che riguarda il luogo,  se l’Università  è  il tempio – come si dice – del pensiero critico,.   nessuno  se ne potrebbe trovare di più adatto  per tenere approfondimenti e dibattiti   critici  a carico dei diversi poteri. E’ così in  tutto il mondo tant’ è che dalle Università  oltre che riflessioni critiche  partono ovunque  movimenti di  contestazione ed a volte persino  spinte rivoluzionarie. Proprio per questo  i “poteri” le temono. E’ vero che anche l’Università è di per sé un potere,   ma ha una  qualità diversa   ed ha perciò  – o dovrebbe avere – la capacità di criticare se stessa e di criticare gli altri poteri.
A smentire   la  tesi di non potersi tenere dibattiti del genere in sedi universitarie  vi sono i tantissimi dibattiti e seminari   sulla questione palestinese,   di critica allo Stato israeliano e persino alle   forme di  collaborazione  dell’Italia con quel  governo, che si sono svolti  in anni recentissimi  in sedi universitarie,  qui a Roma. Ne enumero solo alcuni.
A Roma 3  nel 2013 si sono svolte due importanti iniziative: nell’aprile    un seminario con 8 studenti palestinesi di filosofia  provenienti direttamente da Gaza in cui si è trattato delle  condizioni di vita e di studio  a Gaza; il 6 dicembre   una tavola rotonda di analisi e di critica del sionismo cui hanno partecipato Giacomo Marramao,  Moni Ovadia, Giovanni Franzoni e Francesca Koch.    All’Università La Sapienza,   in concomitanza ed in contrapposizione  con un seminario ufficiale, che si svolgeva lì,  a porte chiuse, per discutere  delle  collaborazioni tecnologiche tra Israele e l’Italia in materia di sistemi di sicurezza e di sistemi d’arma, cui partecipavaono oltre che accademici ed esperti, esponenti delle forze armate ed anche della Finmeccanica, si è svolta una iniziativa pubblica di controinformazione.  Nel Dipartimento di Igiene il 22 aprile del 2013 si è svolto  un Seminario sul Ruolo del Medico nella Violazione dei Diritti umani, con esplicito riferimento a quanto in materia accade purtroppo   e  – si deve  aggiungere – vergognosamente  in Palestina ad opera delle forze di occupazione. La  Facoltà di Fisica  il  22 maggio del 2014   ha ospitato nell’aula Maiorana un seminario sul tema “Le rivoluzioni arabe e la Palestina,  promosso e gestito da un associazione di Giovani  Palestinesi, nel quadro del Tour Europeo della Conferenza dei Giovani Arabi.

Potrei continuare. Mi limito ad accennare alle numerose conferenze e dibattiti  affollatissimi  che si sono svolti  sul tema della Palestina nel Dipartimento ISO -Istituto Italiano di Studi Orientali.
Mai si sono avute proteste e rimostranze per queste iniziative e mai nessuno ha obiettato sulla scelta delle sedi universitarie.

Nel 2015 invece,  inaspettati, a distanza di pochi  giorni,  due fermi divieti dell’ambasciatore israeliano, accolti dalle autorità accademiche. Che succede? Forse stiamo   diventando un paese a sovranità sempre più limitata che  oltre alle pressioni statunitensi subisce anche le interferenze dell’ambasciatore israeliano! Oppure Israele,   avvertendo   l’incipiente isolamento  nel contesto internazionale,   a seguito del pesantissimo  attacco a Gaza della scorsa estate, ma non solo, spinge  la propria diplomazia ad essere più aggressiva.

Una cosa è certa:   nel nostro paese Israele è diventato  un tabù.
I motivi che hanno portato a ciò sono ovviamente svariati. Per un verso      ha potuto giocare   se non il senso di colpa almeno un grande disagio per il ricordo delle ignobili leggi razziali di epoca fascista e le conseguenti persecuzioni, di cui   collettivamente non abbiamo fatto forse sufficiente ammenda. Per  un altro,  ha fatto presa    la trappola, astutamente messa in campo dal governo sionista israeliano,  e sinora non smascherata efficacemente, secondo cui    Ebrei, Ebraismo ed Israele coinciderebbero; affermazione  inconsistente quanto suggestiva, messa in campo per poter sostenere l’accusa di antisemitismo verso  chiunque si opponga o semplicemente critichi le politiche israeliane. Un altro fattore può essere il  successo che sta avendo    Brand Israel, la campagna che in tre anni di lavoro e  con la consulenza delle maggiori agenzie di marketing statunitensi   il governo israeliano ha messo a punto     e che ora copiosamente finanzia   e sapientemente gestisce  per restaurare l’immagine di Israele da presentare  come  uno Stato democratico, moderno e progressista onde far dimenticare  quella    di    Stato  colonialista e militarista,  che opera  al di fuori della legalità internazionale.

Il  tabù,  potente,  agisce anche a livello politico. Si è manifestato in modo eclatante venerdì scorso, nella Camera dei Deputati  in occasione della votazione per il riconoscimento dello Stato di Palestina: sono state assunte due delibere contrapposte. che si smentiscono a vicenda e il Governo le ha accolte ambedue.  Davanti al mondo intero non abbiamo fatto una bella figura. Certamente pessime l’abbiamo fatta   rispetto al Popolo Palestinese  e davanti a tutte le popolazioni arabe che nell’occupazione della Palestina vedono la dimostrazione della volontà di dominio dell’Occidente. Per questo  il comportamento dei nostri parlamentari e governanti, che qualificare disdicevole è davvero poco, è estremamente grave. Ma forse  non è entrato in gioco solo il tabù


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21