Censori di Russia, un concerto vi seppellirà

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Le tappe del calvario sembrano quelle già percorse da Mikhail Khodrokovskij,  l’oligarca russo che non abbassò la testa di fronte alla tirannia putiniana (aprendo asili e opere sociali, ma sopratutto finanziando l’opposizione liberale e comunista) e che rimarrà in cella (praticamente) a vita. Per le Pussy Riot le porte del carcere si sono chiuse qualche mese fa e rischiano di riaprirsi solo alla caduta del regime. A modo loro, l’hanno sfidato: con un concerto – breve ma significativo e polemico – in una chiesa.

Sono salite sull’altare e hanno invitatola Vergine Mariaa liberarci da Putin. Lo hanno fatto non in una chiesa qualunque, ma in quella del Cristo Redentore che Stalin fece demolire negli anni Trenta e che è stata ricostruita dopo la caduta del socialismo reale.

Èla Chiesasimbolo del rapporto più che amichevole tra il clero ortodosso e Vladimir Putin. Quest’ultimo, tenente colonnello del Kgb, non propriamente un’organizzazione clericale, nella recente (e vittoriosa) campagna elettorale ha raccontato (con la classica finta lacrima di coccodrillo) che la madre lo aveva fatto battezzare di nascosto.  Insieme a Medvedev fa di tutto per compiacere il clero e  Kirill. Il patriarca d’altronde cerca il riscatto dopo che i blogger hanno dimostrato che il suo ufficio stampa ha photoshoppato una foto per nascondere un costoso orologio. Cancellato dal polso, ne si vedeva l’ombra riflessa sul tavolo. Il diavolo d’altronde i coperchi non li sa fare.

In questo contesto il processo alle Pussy Riot è diventato molto simile a quelli della Santa Inquisizione. Il paragone è proprio di Khodorkovskij.  All’oligarca durante le udienze fu impedito qualunque contatto diretto con i suoi avvocati (uno, americano, fu anche espulso). Per le Pussy Riot (cui stanno impedendo di vedere i figli) le udienze durano dall’alba al tramonto, senza farle bere e mangiare. In una udienza, un allarme bomba ha portato all’evacuazione del tribunale. Solo le tre ragazze non hanno potuto abbandonare l’edificio. Per fortuna (nostra) non c’era alcun esplosivo. Le tre militanti rischiano sette anni di carcere, ma come per l’ex oligarca poi si troveranno altri capi d’accusa per allungare la detenzione, anche retrodatando leggi, anche forzando i processi. In Russia non esiste la separazione dei poteri tra politica e magistratura.

 

Il procuratore generale è stato ministro della Giustizia di Putin. E nessun processo, né a Mosca né nella sterminata provincia è scevro da influenze politiche o lobbistiche. Per questo Annaviva, negli scorsi mesi, si è mobilitata: per evitare l’estradizione di un imprenditore dall’Italia alla Russia. I giudici milanesi hanno respinto la richiesta moscovita. Per le Pussy Riot si stanno attivando molti musicisti in tutto il mondo (dai Red Hot Chilli Peppers a Elio e le storie tese). La politica internazionale distratta prima, ora – in piena crisi economica – se ne frega ancora di più dei diritti umani. Degli imprenditori non parliamo. Hanno fatto spallucce per la condanna di un loro simile , Khodorkovskij: al banchetto sulle spoglie della sua Yukos hanno d’altronde partecipato anche le nostre Eni ed Enel. Figuriamoci se si interessano di tre ragazze mascherate, punk e antiputiniane. Resta la mobilitazione dei cittadini. In primis, quella lanciata da Amnesty International (che ha definito le Pussy Riot prigioniere di coscienza) e che vi invito a firmare: http://www.amnesty.it/russia-pussy-riot-processo 

Sono certo che anche gli amici di Articolo 21 si attiveranno. Le tre ragazze non rischiano il rogo sulla piazza (Rossa) come sarebbe accaduto qualche centinaio di anni fa. Ma ogni giorno che passano in cella suona come una beffa alla giustizia. Perché il regime putiniano così efficiente non usa la stessa fermezza per trovare chi abbia ordinato gli omicidi di Anna Politkovskaja, Natasha Estemirova e di tutti i giornalisti indipendenti russi vittime di assassinii politici? Forse perché erano critici verso la tirannia? Non fermiamoci. Un concerto li seppellirà.

http://www.andreariscassi.it


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