Mafia: Napolitano, intercettazioni non possono rimanere in atti processuali

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“La permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento e
l’intento di attivare una procedura camerale comportano lesione delle
prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica”. E’ uno dei
passaggi sui quali si basa la decisione del Capo dello Stato Giorgio
Napolitano di sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte
costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo,
contenuto nel decreto con il quale affida all’avvocatura generale dello
Stato la rappresentanza del Quirinale.

Un documento nel quale
vengono ricostruiti tutti i vari passaggi della vicenda. Innanzi tutto si
ricorda che “nell’ambito di procedimento penale pendente dinanzi alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, sono
state captate conversazioni del Presidente della Repubblica nel corso di
intercettazioni telefoniche effettuate su utenza di altra persona. Il
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, in risposta a
richiesta di notizie formulata il 27 giugno 2012 dall’Avvocato generale
dello Stato, ha riferito, il successivo 6 luglio, che, ‘questa Procura,
avendo gia’ valutato come irrilevante ai fini del procedimento
qualsivoglia eventuale comunicazione telefonica in atti diretta al Capo
dello Stato non ne prevede alcuna utilizzazione investigativa o
processuale, ma esclusivamente la distruzione da effettuare con
l’osservanza delle formalita’ di legge”.

Nel decreto si ricorda poi
che “con nota diffusa il 9 luglio 2012 e con lettera al quotidiano ‘la
Repubblica’ pubblicata l’11 luglio 2012, il Procuratore della Repubblica
ha ulteriormente affermato tra l’altro, sempre con riferimento alle
indicate intercettazioni, che ‘in tali casi alla successiva distruzione
della conversazione legittimamente ascoltata e registrata si procede
esclusivamente previa valutazione della irrilevanza della conversazione
stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione del giudice per le
indagini preliminari, sentite le parti”. Percio’, nota il Quirinale, “la
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dopo aver preso
cognizione delle conversazioni, le ha preliminarmente valutate sotto il
profilo della rilevanza e intende ora mantenerle agli atti del
procedimento perche’ esse siano dapprima sottoposte ai difensori delle
parti ai fini del loro ascolto e successivamente, nel contraddittorio tra
le parti stesse, sottoposte all’esame del giudice ai fini della loro
acquisizione ove non manifestamente irrilevanti”.

Una procedura
pero’ in contrasto con “l’articolo 90 della Costituzione e l’articolo 7
della legge 5 giugno 1989, n. 219”, in base ai quali, “salvi i casi di
alto tradimento o attentato alla Costituzione e secondo il regime previsto
dalle norme che disciplinano il procedimento di accusa, le intercettazioni
di conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorche’
indirette od occasionali, sono invece da considerarsi assolutamente
vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e
trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al
giudice la distruzione”.

Quindi “comportano lesione delle
prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica, quantomeno
sotto il profilo della loro menomazione, l’avvenuta valutazione sulla
rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione
(investigativa o processuale), la permanenza delle intercettazioni agli
atti del procedimento e l’intento di attivare una procedura camerale che
-anche a ragione della instaurazione di un contraddittorio sul punto-
aggrava gli effetti lesivi delle precedenti condotte”. Partendo da queste
premesse, Napolitano, citando il Capo dello Stato Luigi Einaudi, ricorda
che “e’ dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel
suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti,
grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo
successore immuni da qualsiasi incrinatura le facolta’ che la Costituzione
gli attribuisce”.

Di qui la decisione “di sollevare formale
conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, ai sensi
dell’articolo 134 della Costituzione, avverso la decisione della Procura
della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la
rilevanza di conversazioni del Presidente della Repubblica e di mantenerle
agli atti del procedimento penale perche’, nel contraddittorio tra le
parti, siano successivamente sottoposte alle determinazioni del giudice ai
fini della loro eventuale acquisizione”.        A rappresentare il Capo
dello Stato nel giudizio l’Avvocato Generale dello Stato.


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