Giornalismo sotto attacco in Italia

L’Albania tra l’illusione dell’algoritmo e il peso della corruzione

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La vicepremier e ministra delle Infrastrutture, Belinda Balluku, sotto indagine della SPAK per presunti abusi in gare pubbliche e contratti energetici.

C’è un paradosso nel racconto politico dell’Albania di oggi: mentre il governo annuncia una ministra artificiale “incinta” di decine di assistenti digitali, la giustizia indaga figure chiave dell’esecutivo per presunta corruzione. Due immagini opposte; l’utopia tecnologica e la crisi etica si toccano nello stesso spazio politico, rivelando la fragilità del potere quando si allontana dalla realtà dei cittadini.

Il 27 ottobre 2025, il primo ministro Edi Rama ha presentato Diella, la prima “ministra” generata da intelligenza artificiale: un progetto che, nelle intenzioni ufficiali, dovrebbe digitalizzare la burocrazia e prevenire la corruzione. Diella, ha detto Rama, è “incinta” e darà vita a 83 assistenti digitali, uno per ciascun deputato socialista. L’immagine è volutamente provocatoria: un parto di algoritmi per generare efficienza, vigilanza e trasparenza. Ma dietro la teatralità del linguaggio emergono domande politiche sostanziali: chi controlla chi? E chi risponde delle scelte di un algoritmo ministeriale?

A rendere più complesso il quadro, nello stesso arco di giorni, è arrivata la notizia che la vicepremier e ministra delle Infrastrutture, Belinda Balluku, è stata raggiunta da un atto d’indagine della SPAK, la procura speciale anticorruzione albanese. Si parla di presunti abusi legati a gare pubbliche e contratti energetici. Non è la prima volta che un alto funzionario del governo Rama finisce sotto esame, ma la coincidenza con il lancio del “ministro digitale” produce un effetto politico devastante: mentre si celebra la nascita di un’intelligenza artificiale che promette purezza amministrativa, il potere reale continua a fare i conti con i vizi antichi della corruzione.

Tecnologia come schermo politico

La creazione di Diella non è solo un esperimento tecnologico: è un gesto simbolico, quasi teatrale, che serve a comunicare modernità, controllo e visione. Tuttavia, quando la retorica si sostituisce alla sostanza, il rischio è duplice. Da un lato, la digitalizzazione senza regole può diventare un nuovo strato di opacità, dove nessuno sa davvero chi decide o perché. Dall’altro, l’uso della tecnologia come narrazione politica può funzionare da scudo retorico, utile a spostare il dibattito pubblico dai fatti giudiziari alle promesse del futuro. Un’AI “ministra” non elimina la corruzione umana: se la politica resta irresponsabile, nessun algoritmo potrà salvarla.

La promessa di un’amministrazione “incorruttibile” deve passare per una legge chiara sulla responsabilità politica delle decisioni algoritmiche e per audit indipendenti sulle sue attività. Senza questi strumenti, l’AI in politica rischia di produrre un nuovo tipo di irresponsabilità: quella automatizzata.

La storia recente del governo albanese, con diversi ministri sotto accusa e in arresto, mostra che la vera corruzione non si nasconde nei circuiti, ma nei comportamenti. E finché la responsabilità resterà umana, com’è giusto che sia, nessuna intelligenza artificiale potrà davvero “partorire” una nuova etica della politica.

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