Raramente le primarie del Partito Democratico per la nomina del candidato sindaco di New York hanno suscitato l’attenzione di tutti i media internazionali com’è accaduto per quelle svoltesi lo scorso 24 giugno. Fino a tre mesi fa sembrava certa la vittoria di Andrew Cuomo, l’ex governatore dello Stato, costretto a dimettersi quattro anni fa da tale carica a seguito di controverse accuse di molestie sessuali. Successivamente, Cuomo era riuscito a rifarsi una verginità politica, riallacciando i rapporti coi maggiorenti del partito e ingraziandosi la potente comunità ebraica accettando di difendere Netanyahu dalle accuse di crimini contro l’umanità dinanzi alla corte dell’Aia.
Le cose sono cambiate con l’entrata in campo di Zohran Mamdani, un giovane attivista di 33 anni sino ad allora sconosciuto ai più. Dotato di tratti carismatici e avvalendosi di un’intelligente campagna sui social, egli ha progressivamente acquisito notorietà sostenendo che il Partito Democratico deve recuperare quella che era la sua originaria ragion d’essere, quella di un partito che si fa carico dei problemi dei lavoratori e delle fasce più deboli della popolazione, lottando per migliorarne le condizioni. Le proposte da lui avanzate, quali misure per calmierare gli affitti e la gratuità dei trasporti e degli asili nido per i non abbienti, non appaiono peraltro particolarmente rivoluzionarie, almeno per uno standard europeo. Tuttavia il suo messaggio di attenzione ai problemi di sostenibilità economica della popolazione meno agiata (la maggioranza) è stato accolto come una boccata di aria fresca in un sistema politico bloccato e incapace di offrire alternative all’elettorato.
Ben diversa è stata invece la reazione dell’establishment, allarmato non tanto dalle sue proposte quanto piuttosto dell’intendimento di finanziarle mediante un’imposta aggiuntiva del 2% sugli ultramilionari, considerata un’intollerabile e pericolosa misura comunista. Ed è così che quando la sua candidatura ha cominciato a lievitare nei sondaggi sono entrati in campo i vecchi leader del partito, quali Clinton e Pelosi, i quali hanno appoggiato Cuomo e accusato Mamdani di inesperienza e velleitarismo.
La levata di scudi contro Mamdani si è poi significativamente ampliata quando questi, in una città con una forte comunità ebraica, ha condannato la carneficina in corso in Palestina, attirandosi ovviamente l’accusa di antisemitismo. A quel punto i finanziamenti della potente lobby ebraica statunitense a favore di Cuomo sono aumentati a dismisura ed è partita una campagna di spot pubblicitari che hanno dipinto Mamdani come un pericoloso sovversivo e fiancheggiatore dei terroristi. Non sorprendentemente, anche molti esponenti di primo piano del Partito Repubblicano hanno ritenuto di intervenire nella competizione interna al Partito Democratico, appoggiando e finanziando generosamente e pubblicamente Cuomo. Nel complesso, l’immagine che è emersa è quella di un blocco di potere al cui interno le distinzioni fra partiti riguardano solo la superficie.
Nonostante questa potenza di fuoco, sappiamo come è finita: Mamdani non solo ha vinto, ma ha stravinto, mandando un potente messaggio non solo al Partito Democratico statunitense, ma anche ai partiti che si dichiarano di sinistra in Europa.
Sono anni che si ironizza sul fatto che l’elettorato dei partiti “di sinistra” è concentrato nei quartieri centrali e più abbienti delle città occidentali. Tale situazione riflette l’incredibile parabola negli ultimi 40 anni di tali partiti da propugnatori di condizioni economiche e sociali più eque a difensori di fatto di uno status quo caratterizzato da profonde ingiustizie nella distribuzione del reddito, come dimostra la sostanziale stagnazione negli ultimi decenni dei salari reali e la progressiva concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta élite.
Non deve sorprendere quindi che alla lunga le fasce più deboli dell’elettorato, nella disperata ricerca di una rappresentanza politica che la sinistra non forniva più, si siano rivolte a Trump e ai partiti di estrema destra nell’illusione che essi potessero farsi carico delle loro difficoltà economiche.
La vittoria di Mamdani, nonostante non vada generalizzata al di fuori del contesto in cui ha avuto luogo, fornisce qualche indicazione sulla strada da percorrere per recuperare questo elettorato.
*Marco Ambrogi, economista, già dirigente della Banca d’Italia
