Gli “appunti” e le analisi di Gianni De Gennaro

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Negli stessi giorni, il 10 agosto 1993, anche il Direttore della D.I.A. De Gennaro scriveva una nota al Ministro dell’Interno cui allegava un documento elaborato dai funzionari della D.I.A. in ordine alle stragi dei precedenti 27 e 28 luglio 1993.
[…] Nel detto «appunto», quindi, tra l’altro, si legge:
“1. Le considerazioni e le riflessioni proposte nel presente studio muovono da precisi riferimenti e da dati di fatto che, in assenza di elementi probatori certi, possono, allo stato delle indagini, indicare un’attendibile chiave di lettura ed offrire un utile quadro di riferimento tanto agli investigatori impegnati nella identificazione degli autori dei delitti, quanto alle Autorità preposte alla tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica.
In tale ottica non si può prescindere da una sintetica rilettura delle vantazioni espresse dalla Direzione Investigativa Antimafia all’indomani delle stragi di Capaci, di Via D’Amelio e di Via Fauro.
Nel preciso convincimento che i fatti criminali di oggi trovino il loro logico presupposto nei luttuosi eventi verificatisi in Sicilia nella primavera del ’92, questa Direzione ritiene che la metodologia da seguire nel corso dell’analisi debba essere quella di un riesame, il più possibile completo, di tutti i gravi delitti che hanno insanguinato il nostro paese negli ultimi tredici mesi, alla ricerca non solo delle analogie che li colleghino tra loro, ma anche dì altri episodi e circostanze che non siano ancora apparsi direttamente interconnessi ovvero che siano sfuggiti fino ad oggi ad una organica e contestuale lettura.
2. La strage di Capaci e l’omicidio di Salvo Lima non possono non essere interpretati come due momenti significativi di una strategia di difesa di “cosa nostra”, elaborata in un momento in cui la stessa sopravvivenza dell’organizzazione era stata compromessa dalla definitività della sentenza di
condanna del maxi-processo, dal crescente peso assunto dai collaboratori di giustizia, dalla sempre, più efficace risposta investigativa e dalla costante determinazione mostrata da Governo e Parlamento nel garantire l’esecuzione delle pene detentive con adeguato rigore.
Tale stato di cose ha obbligato l’organizzazione a riaffermare il proprio potere anche con reazioni violente, evitando, nel contempo, disgregazioni interne e fughe destabilizzanti.
In particolare, con l’omicidio Lima, prima tappa di un disegno criminoso di cui si conosce il momento iniziale ma non l’esito finale, “cosa nostra” ha abbandonato i vecchi legami con quei settori del mondo politico che avevano deluso le sue aspettative ed iniziato, forse, a ricercare nuovi interlocutori con i quali stabilire intese e stringere alleanze.
Con la strage di Capaci ha inoltre inteso colpire l’immagine del Giudice Falcone, ferma guida e stabile riferimento delle forze impegnate nella lotta alla mafia, nel momento in cui si prospettava, per il magistrato, la possibilità di essere nominato Procuratore Nazionale Antimafia e di costituire, quindi, un’ulteriore gravissima minaccia sia per la mafia, sia per quanti, a vario titolo, fossero ad essa collegati.
3. Già subito dopo la strage di Via D’Amelio la D.I.A. aveva prospettato l’ipotesi che “cosa nostra”fosse divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato. Progetto inteso non già come programma definito nei particolari, bensì come disegno di massima da sviluppare nel tempo, valutando attentamente l’impatto di ciascun passaggio all’interno dell’organizzazione e sull’opinione pubblica nonché la probabilità… Continua su mafie


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