Nei tre anni trascorsi dall’inizio della XIX legislatura e dall’insediamento del governo diretto dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in Italia c’è stato un profondo arretramento nella tutela dei diritti umani. È quanto emerso dall’analisi, presentata ieri a Roma dall’organizzazione per i diritti umani, intitolata “Il governo Meloni al giro di boa”.
L’esecutivo ha polarizzato la narrazione e la legislazione principalmente su temi riguardanti la sicurezza pubblica e la migrazione, con l’intento di punire e dissuadere.
Dall’adozione del “decreto-rave” nel primo Consiglio dei ministri dell’ottobre 2022 alla conversione in legge del “decreto sicurezza”, entrato in vigore dopo un anomalo ricorso alla decretazione d’urgenza, è stata data priorità alla costante e progressiva adozione di norme tese a restringere lo spazio civico, erodere le libertà di espressione e associazione e prendere di mira la solidarietà e i gruppi marginalizzati.
“La normativa approvata in tema di “sicurezza” è il sintomo che l’autoritarismo si appresta a prendere piede anche nel nostro paese: come non definire autoritario un insieme di norme che ha inasprito le pene per diversi reati e ha introdotto ben quattordici nuove fattispecie di illeciti legati in buona misura a forme di manifestazione del dissenso. Allo stesso modo, non può essere usato un termine diverso per le modalità con cui, attraverso l’uso eccessivo e della forza e l’utilizzo dei fogli di via contro le persone attiviste, è stato gestito l’ordine pubblico durante le ricorrenti manifestazioni, soprattutto in solidarietà con la popolazione palestinese della Striscia di Gaza”, ha dichiarato Anneliese Baldaccini, responsabile delle relazioni con le istituzioni di Amnesty International Italia.
“Il governo Meloni non ha esitato a impegnare enormi risorse pubbliche per un accordo con il governo di Tirana per la costruzione di centri in Albania destinati al trasferimento di persone migranti, tenendo in vita un protocollo illegale e costoso a dispetto delle numerose pronunce di illegittimità emesse da corti italiane ed europee con riferimento ai trattenimenti nei centri stessi”, ha proseguito Baldaccini.
Soprattutto dopo l’emissione del mandato di cattura per il primo ministro israeliano Netanyahu, il governo italiano ha avviato un’opera di delegittimazione della giustizia internazionale, coerente con la posizione indulgente tenuta negli ultimi due anni verso il governo israeliano.
“Ma la prova più evidente di tale delegittimazione è stata l’accompagnamento in Libia del ricercato Almasri: un clamoroso atto di disprezzo verso gli obblighi di cooperazione del nostro paese con la Corte penale internazionale, che aveva emesso un mandato di cattura nei confronti del potente miliziano libico”, ha sottolineato Baldaccini.
Delle tante sollecitazioni e richieste che Amnesty International Italia ha presentato alle istituzioni dall’inizio dell’attuale legislatura, almeno una sembrava essere stata accolta.
“Dopo un voto unanime alla Camera, il 25 novembre 2025 sembrava che il Senato potesse colmare 12 anni di ritardo rispetto agli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul, modificando dunque la normativa interna in materia di stupro attraverso l’introduzione del principio del consenso. Sappiamo invece com’è andata: con uno stop al voto finale e un lungo rinvio. Quello che hanno già fatto 21 stati europei, 17 dei quali membri dell’Unione europea, l’Italia non riesce ancora a farlo” ha concluso Baldaccini.
