Si avvicina la data del referendum costituzionale sulla giustizia e continua il nostro impegno al fianco del comitato del NO, al fine di salvaguardare ancora una volta la nostra Costituzione e, in particolare, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, messa pesantemente sotto attacco dalla maggioranza e dal governo. Del resto, su queste colonne abbiamo letto fior di articoli dedicati all’uso strumentale della vicenda di Garlasco, con il preciso scopo di screditare un’intera categoria, magari facendo qualche riferimento anche alla tragedia di Enzo Tortora, ormai lontana nel tempo ma ancora ben presente nella memoria di ciascuna e ciascuno di noi. E così, ci troviamo di fronte al paradosso per cui gli eredi del cappio in Aula di Leoni Orsenigo da Cantù e della pretesa di pene esemplari nei confronti dei personaggi della Prima Repubblica coinvolti in Tangentopoli sostengono una controriforma che mette a repentaglio l’uguaglianza di tutte le cittadine e i cittadini davanti alla legge. Perché un PM trasformato, di fatto, in avvocato dell’accusa, vicino, anzi consustanziale, alla Polizia e sempre più lontano dalla giurisdizione sarà molto più persecutorio nei confronti dei più deboli e molto più clemente nei confronti dei poteri forti, con buona pace dell’articolo 3 della Carta e del concetto essenziale (“La legge è uguale per tutti”) che campeggia in ogni aula di tribunale.
Enrico Grosso, guarda caso un avvocato, esponente di spicco del comitato per il NO, fa con noi il punto della situazione, mettendoci in guardia dai rischi connessi a una deriva autoritaria globale che solo chi non sa non vede e alla quale chi è in malafede, per interessi neanche troppo occulti, plaude.
