Giornalismo sotto attacco in Italia

Da piazza Fontana alla stazione di Bologna. La mano fascista dietro alle stragi della strategia della tensione

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Il 1969 è l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paese.
Le rivendicazioni del salario garantito e di un lavoro per tutti degli operai, il diritto allo studio richiesto da milioni di giovani delle scuole medie superiori e delle università.
Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale.
E’ lì che le lotte diventano più calde.
7.507.000 persone coinvolte in conflitti di lavoro per 302.597.000 ore di produzione perdute a causa di scioperi.
E’ l’anno delle bombe.
Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne conteranno 145, una ogni tre giorni.
Per 96 la responsabilità accertata è dell’estrema destra.
Il 15 aprile ne scoppia una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova.
Il 9 aprile a Battipaglia vengono uccisi 2 lavoratori e 119 persone sono arrestate.
Il giorno dopo ci saranno manifestazioni in tutta Italia, accompagnate da violenti scontri con la polizia.
Il commissariato di Battipaglia viene dato alle fiamme.
Il 25 aprile, alla Fiera di Milano,un ordigno ad alto potenziale provoca il ferimento di venti persone.
In agosto vengono piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodono e colpiscono dodici passeggeri.
A Pisa, il 27 ottobre, durante una manifestazione contro i colonnelli greci, uno studente rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dalla polizia.
Il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione per la casa, due camionette si scontrano; nell’incidente muore il poliziotto Antonio Annarumma.

Un clima incandescente sul piano politico.
Si è appena insediato il secondo governo a guida Mariano Rumor.
Il suo vice è Paolo Emilio Taviani. Ministro degli Esteri Aldo Moro,agli Interni Franco Restivo.
Un monocolore Dc.
Capo del Sid è l’ammiraglio Eugenio Henke.
Al vertice della polizia c’è Angelo Vicari.
Presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat.
Il Pci è il più forte partito comunista occidentale.
La Cgil è il sindacato meglio organizzato.

Nel 1969, lo stipendio di un operaio specializzato era di 110 mila lire al mese.
L’affitto medio di un appartamento a Milano e Roma ammontava a 35 mila lire al mese.
La Fiat 500 lusso costava 525 mila lire.
Una tazza di caffè al bar costava 50 lire.
Un litro di benzina 75 lire.
Il 27 del mese era un miraggio.

12 dicembre 1969. Siamo a Milano e mancano tredici giorni a Natale.
Un forte e dirompente boato giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.
Sette chilogrammi di esplosivo vengono compressi in una cassetta metallica, poi inseriti dentro una valigetta nera, tipo ventiquattro ore.
E’ collocata proprio al centro del salone dove gli agricoltori contrattano i loro affari.
La gelignite è attivata da un timer.
Diciassette morti, diciotto con l’anarchico Pino Pinelli volato giù dal quarto piano della Questura di Milano, ottantotto feriti.

Il paese è attonito, martoriato.
Nessuno crede a quelle immagini che la televisione trasmette.
Frammenti di guerra, scene che sembrano venire da lontano, da un altro paese.
Cosa contengono i minuti dopo una strage ?
Esistono silenzi che spesso sono fin troppo densi di rumori che si annullano a vicenda.
Silenzi, attimi, tempo che sembra non passare mai.
Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita degli agricoltori di Piazza Fontana si è fermata, ibernata. Statue di sangue e dolore che non hanno più un’anima, impietrite ti guardano come per chiedere un aiuto, come vite sospese che non sono più carne e parole.
Quelle statue che paiono di gesso non sono più vive ma parlano.
E raccontano una storia che parte da lontano, proprio da quella banca, a Milano.
Gli ultimi gesti di Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia.
Gli sguardi di Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli.
Le parole di Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè, Gerolamo Papetti.
Il dolore dei feriti, di quelli mutilati, di quanti si sono poi lasciati morire e non hanno più trovato un identità.
Frasi che risuonano nel cervello, chiare e tonde, pizzicano in gola, rintoccano sul fondo della lingua, e premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, più volte, nel corso del tempo, contro il palato. Silenzi fatti di rumori che si trasformano in urla ingoiate di traverso. E compiono il giro del mondo.
In molti le percepiscono, forti e chiare, acute e potenti come bombe.

12 dicembre 1969.
Pochi minuti dopo la strage di piazza Fontana.
Un’altra bomba viene collocata nella sede della Banca Commerciale di Milano.
Possiede le stesse caratteristiche della prima ma non scoppia.
Altri ordigni vengono piazzati nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro a Roma. Tredici feriti.
Ordigni di elevata potenza colpiscono l’Altare della Patria e l’ingresso del Museo del Risorgimento a Roma. Quattro feriti.

Nelle ore successive alla strage di piazza Fontana, gli inquirenti compiono perquisizioni nelle sedi delle principali organizzazioni della sinistra extraparlamentare. Per le Questure di Milano e Roma i colpevoli vanno cercati in quella direzione.
Le indagini sfiorano qualche elemento di estrema destra, ma risparmiano Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale, i gruppi più importanti in attività in quegli anni.
Oltre ottanta fermati e arrestati.
Su una decina di persone “gravano pesanti indizi”. Sono tutti anarchici dei circoli Bakunin e 22 Marzo: Giovanni Aricò, Annelise Borth, Angelo Casile, Roberto Mander, Emilio Borghese, Mario Merlino, Giuseppe Pinelli e Pietro Valpreda.

Milano,15 dicembre. Un cielo grigio, nebbioso.
In Piazza Duomo hanno acceso persino i lampioni.
Milano si stringe attorno a quelle bare allineate, le vittime della strage di Piazza Fontana. La vista della piazza dall’alto è impressionante.
Dentro non c’è posto per tutti, si distribuiscono nelle vie laterali, senza un ordine prestabilito.
Una città si ferma e con lei tutto il paese. Sono lì da ore, hanno facce stanche, sono giovani, vecchi, bambini, operai e imprenditori,ricchi e poveri,tutti in silenzio,quasi a cercare una risposta alle mille domande.
“Perché, perché questa strage. A chi giova, a chi giova tutto questo”, si domanda un operaio della Pirelli dentro la basilica mentre in sottofondo si sentono i canti dell’omelia funebre.
Quando passano le bare, calano i cappelli dei pensionati, i baschi blu degli operai usciti dalle fabbriche, i segni della croce degli uomini e delle donne.

In quelle ore, il commissario di Milano, Luigi Calabresi invita Giuseppe Pinelli per una breve testimonianza nei locali della Questura. Lo vuole sentire, interrogare. Quando entra nelle stanze della Questura di Milano Giuseppe Pinelli ha 41 anni.
E’ sposato con Licia e ha due figlie, Silvia e Claudia. Lavora come frenatore delle Ferrovie dello Stato nella stazione di Porta Garibaldi. L’anarchico precipita dal quarto piano di Via Fatebenefratelli, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969.
Cade proprio dalla finestra dell’ufficio di Calabresi. Assistono alla scena i sottufficiali Panessa, Caracuta, Mucilli e il tenente dei carabinieri Lo Grano. In Questura sono presenti anche 15 funzionari zelanti dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, coordinati da Federico Umberto D’Amato.

Degli anarchici fermati in quei giorni, il commissario Luigi Calabresi si interessa a Pietro Valpreda.
Lui si dichiara innocente grida ma per gli investigatori è l’autore materiale della strage.
Il tassista Cornelio Rolandi riconosce in Valpreda, le sembianze del passeggero che accompagna davanti alla banca Nazionale dell’Agricoltura.
Sulla morte di Giuseppe Pinelli, l’istruttoria andrà avanti fino all’ottobre 1975. Nella sentenza dell’allora giudice Gerardo D’Ambrosio, è scritto:
“L’istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli. Le contestazioni a carico dell’anarchico non crearono e non potevano creare in Pinelli il convincimento che la Polizia fosse in possesso di gravi elementi d’accusa nei confronti suoi o del movimento anarchico. Non è quindi verosimile che Pinelli si sia suicidato. La precipitazione non fu preceduta da alcun segno che potesse prevedere ciò che stava per accadere. La dinamica del passaggio del corpo oltre la ringhiera si esaurì nel volgere di frazioni di secondo”. D’Ambrosio dichiara “possibile ma non verosimile” l’ipotesi del suicidio, “assolutamente inconsistente” la possibilità del lancio volontario del corpo inanimato e “verosimile” l’ipotesi di un malore. Resta, a parere di D’Ambrosio, “l’improvvisa alterazione del centro di equilibrio”. Un “malore attivo”.
Per la morte di Pino Pinelli, ferroviere, innocente, anarchico, non c’è ancora oggi alcuna giustizia.

Passano gli anni e la magistratura imbocca la pista giusta.
Le valigette contenenti l’esplosivo del’69 sono state acquistate da Franco Freda e Giovanni Ventura, fascisti di Padova.
Emerge un piano che deve sfociare in un tentativo di colpo di Stato militare.
E qualcuno lo organizza davvero, la notte dell’8 dicembre 1970.
E’ il principe Junio Valerio Borghese.


Il 22 luglio 1970 esplode una bomba sul treno Freccia del Sud a Gioia Tauro ma gli inquirenti dicono che è stato un incidente.
Non si faranno indagini fino al 1993.
La bomba è stata invece collocata da due criminali calabresi simpatizzanti del MSI.

31 maggio 1972. Vincenzo Vinciguerra è un militante di Ordine Nuovo.
Organizza un attentato contro i carabinieri.
Chiama i militari al telefono: sta andando a fuoco una macchina.
I carabinieri giungono a Peteano di Sagrado.
Si avvicinano ad una cinquecento imbottita di tritolo.
Aprono la portiera, e tre carabinieri saltano in aria. 

Per quella strage Vinciguerra è reo confesso.

7 aprile 1973. Il fascista Nico Azzi si fa scoppiare tra le gambe un ordigno sul treno Torino-Roma.
Alcuni testimoni lo avevano visto girare tra le carrozze con in mano una copia del quotidiano Lotta continua.

17 maggio 1973. Gianfranco Bertoli, dice di essere anarchico ma appartiene ai servizi segreti.
Lancia una bomba a mano davanti alla Questura di Milano. 4 morti.
A oggi, nessuna giustizia

Brescia, 28 maggio 1974.
Entrano in Piazza della Loggia diecimila sindacalisti, operai, studenti, disoccupati, giovani e vecchi, volti di gente comune.
Parla Franco Castrezzati della Cisl.
Sono le 10 e 12 minuti.


“Amici e compagni, lavoratori, studenti, siamo in piazza perché questi ultimi tempi una serie di attentati di chiara marca fascista ha posto la nostra città all’attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. Sono così venuti alla luce uomini di primo piano che hanno rapporti con gli attentatori di Piazza Fontana e del direttissimo Torino- Roma, vengono pure alla luce bombe, armi, tritolo, esplosivi di ogni genere. Ci troviamo di fronte a trame intessute segretamente da chi ha mezzi e obietti precisi. A Milano…. State fermi…state calmi, state calmi. State all’interno della piazza, il servizio d’ordine faccia cordone intorno alla piazza, state all’interno della piazza. Invitiamo tutti a portarsi sotto il palco, venite sotto il palco, state calmi, lasciate il posto alla Croce Bianca, lasciate il passo, lasciate il passaggio delle macchine, tutti in piazza della Vittoria, tutti in piazza della Vittoria”.

Piazza della Loggia, 28 maggio 1974.
Otto morti. Novantaquattro feriti, alcuni gravi.
Condannati Carlo Maria Maggi, capo di Ordine Nuovo nel Triveneto, e Maurizio Tramonte, militante della stessa organizzazione e informatori dei servizi segreti. Marco Toffaloni, cittadino svizzero, viene ritenuto l’esecutore materiale, pure lui condannato, ma non andrà in carcere  in quanto il reato è prescritto secondo la legge elvetica. Ancora in corso il processo contro Roberto Zorzi.


4 agosto 1974.
Dentro un vagone di seconda classe del treno Italicus scoppia una bomba ad alto potenziale.
Avviene proprio nel tunnel ferroviario di San Benedetto Val di Sambro.
12 morti e un centinaio di feriti.
Ad oggi nessuna giustizia

Bologna, stazione.
2 agosto 1980.
Centinaia di metri cubi di terra, travi lunghe duecento metri, pensiline in acciaio, traversine, sassi, binari troncati di netto, frammenti di rotaie, enormi blocchi di cemento armato ridotti a minuscoli pezzetti, con dentro uomini, donne, bambini, ragazzi, anziani, due carrozze del treno straordinario 13534 Ancona-Basilea, il ristorante Cigar, e ancora speranze, discorsi, progetti, sogni di una vacanza promessa solo per un’estate. Un onda lunga di tutto questo si é riversata in meno di un secondo nella piazza della stazione, verso il binario 1, infilata laggiù nel sottopassaggio.
Un mondo compatto, fatto di cose e persone che poco prima erano vive, è venuto giù, sfaldato e si è dissolto.
E in quel macello l’orologio si è fermato.
10,25. 85 morti, 200 feriti.
Strage alla stazione di Bologna.
Ergastolo per i neofascisti dei Nar Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Sette tribunali accertano che sono gli autori della strage. Dai 7 ai 10 anni di carcere per il capo della loggia P2 Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza, i vertici del Sismi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Sono i personaggi che hanno depistato le indagini. Sempre in Cassazione fu condannato il neofascista Luigi Ciavardini. Ergastolo per Gilberto Cavallini per concorso in stage. Il processo contro i mandanti ha accertato il ruolo di finanziatori dell’attentato di Licio Gelli, del suo braccio destro Umberto Ortolani, del responsabile dell’Ufficio Affari riservati del Ministero dell’Interno il Prefetto Federico Umberto D’Amato, del direttore del settimanale fascista Il Borghese Mario Tedeschi, tutti morti. E ha condannato Paolo Bellini che il 2 agosto era stato ripreso da un turista con un super8 intorno alle 10,15.

Strage di Piazza Fontana.
Anni di inchieste, depistaggi da parte degli uomini degli apparati dello Stato, processi.
30 giugno 2001, Corte d’Assise di Milano.
I militanti del gruppo neofascista Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, condannati all’ergastolo.
Tre anni a Stefano Tringali, per favoreggiamento nei confronti di Zorzi.
Non luogo a procedere per il collaboratore di giustizia Carlo Digilio.

12 marzo 2004.
La Corte d’Assise d’Appello di Milano assolve Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi per insufficienza di prove, Giancarlo Rognoni per non aver commesso il fatto, e riduce da tre anni a uno la pena per Stefano Tringali con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna.

3 maggio 2005, il processo si chiude in Cassazione con la conferma delle assoluzioni degli imputati e l’obbligo, da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali.
Oltre l’inganno, la beffa. I giudici compiono un vero capolavoro.
Ma resta una verità storica anche dalle sentenze di assoluzione.
Le responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura, ritenuti anche dalla Corte di Cassazione tra gli esecutori della strage di piazza Fontana, anche se non più giudicabili dopo l’assoluzione definitiva nel gennaio del 1987.
Scrive il neofascista Vincenzo Vinciguerra, vi ricordate, reo confesso della strage a Peteano di Sagrado,in Friuli.

Scrive qualcosa che oggi possiamo solo sussurrare, ma non gridare ad alta voce.
Allora sussurriamo……..

“ Le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969, appartengono ad un’unica matrice organizzativa. Tale struttura obbedisce ad una logica secondo cui le direttive partono da Apparati inseriti nelle Istituzioni e per l’esattezza in una struttura parallela e segreta del ministero dell’Interno.”.

E oggi?
Oggi il fascismo resta ancora un’opzione per gli italiani.
Del resto negli anni Sessanta, su 64 prefetti, 62 sono funzionari degli Interni durante la dittatura; 241 viceprefetti provengono dall’amministrazione fascista; 120 su 135 questori giungono dalle varie polizie ufficiali della Repubblica di Salò; 139 vicequestori entrano in servizio durante il fascismo. Solo 5 di loro contribuiscono in qualche modo alla Resistenza.
Del resto tutti i gruppi, i partiti, i movimenti della destra estrema sono riusciti, sotto forme diverse, a passare indenni dai primi anni del dopoguerra ad oggi. Solo Ordine Nuovo, Avanguardia nazionale, il Movimento politico sono stati sciolti.
Il Movimento Sociale Italiano è diventato Destra nazionale, poi Alleanza nazionale, sdoganato nel 1994 da Silvio Berlusconi, e oggi si chiama Fratelli d’Italia e, secondo i sondaggi, risulta ancora il primo partito in Italia.

Il passato non passa mai.
Spetta a noi non dimenticare.


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