Il 9 novembre si sono dimessi il direttore generale della BBC Tim Davie e la CEO di BBC News, Deborah Turness. A innescare la tempesta è stata l’inchiesta Trump: A Second Chance?, che alla vigilia del voto USA 2024 ha montato in sequenza due frasi non contigue del discorso del 6 gennaio di Donald Trump, alterandone il senso. La BBC ha parlato di “errore di giudizio” e il presidente Samir Shah si è scusato, riconoscendo che il montaggio poteva essere interpretato come un appello alla violenza. Ad aprire il caso è stata la pubblicazione sul Daily Telegraph di un memorandum interno alla BBC che denunciava pregiudizi sistematici nei confronti di Trump. In pochi giorni, il leak ha scatenato titoli ostili, pressioni politiche e una tempesta che ha travolto la leadership della BBC. Nigel Farage e i populisti di Reform UK hanno cavalcato il caso chiedendo di abolire il canone BBC, parlando di “ribellione” dei pagatori e invitando a non versarlo.
Trump, dal canto suo, ha colto l’occasione e tramite i suoi legali ha minacciato una causa per diffamazione da un miliardo di dollari a meno che la BBC non ritratti.
Da tempo, le minacce di causa non mirano a vincere in tribunale. Servono, piuttosto, a modellare i comportamenti. Una richiesta di risarcimento da un miliardo di dollari non parla ai montatori o ai giornalisti, ma ai vertici aziendali, alle compagnie di assicurazione, ai consigli di amministrazione. È un messaggio cifrato sul costo potenziale dell’errore.
Nelle ore in cui la crisi esplodeva, la domanda non era più “com’è potuto accadere?”, ma “quale livello di esposizione legale possiamo permetterci?”. La risposta è arrivata con due dimissioni. Le querele intimidatorie non cercano giustizia, ma obbedienza. Vogliono “rieducare” chi scrive, trasformando la libertà di critica in prudenza, e la prudenza – col tempo – in una linea editoriale dove l’autocensura si traveste da “equilibrio”.
Il caso BBC dimostra che oggi non è più necessario, per condizionare i media, comprarli o conquistarne la direzione: basta far capire che dire la verità può costare troppo.
In un ecosistema dove l’accesso alla giustizia è asimmetrico, chi dispone di risorse illimitate può influenzare le scelte editoriali dall’esterno, senza bisogno di toccare una telecamera o una scrivania. È questa la nuova geografia del potere mediatico – un territorio dove il diritto non serve a difendersi, ma a dettare i confini del discorso pubblico. La sanzione di 150.000 euro inflitta a Report non punisce un errore, ma un metodo: quello del giornalismo d’inchiesta. È figlia della stessa logica che ispira le querele bavaglio di Trump.
