Quando si riaccendono le luci del Cinema Ariosto c’è un silenzio strano, neppure quel chiacchericcio tra amici che vogliono commentare a caldo la pellicola. Silenzio. Perché nelle quasi 2 ore di “Put your soul on your hand and walk” c’è la parabola della vita in guerra. E’ lì, davanti ai nostri occhi. Dopo non potrai più dire “non sapevamo”. Perché il film di Sepideh Farsi mette in primo piano il viso di Fatma Hassona, giovanissima e talentuosa fotoreporter di Gaza. Non ci sono luci, cerone, trucchi: è Fatma che risponde al telefono – quando la linea funziona – da un rifugio improvvisato, dalla casa di un amico che ha ancora la corrente, dal divano dove era riuscita ad addormentarsi dopo una notte di bombardamenti israeliani. Il sorriso di Fatma è radioso all’inizio del film, poi, nel corso dei mesi diventa quasi un tic nervoso, a volte sparisce. La sua pelle, prima liscia diventa poi rovinata, soprattutto nei periodi in cui chiede a sua madre “cosa c’è per cena” e sbatte contro la risposta “niente”. Abbiamo voluto fortemente l’anteprima di questo film con le altre associazioni del nostro mondo, quello dei giornalisti, perché lo consideriamo un dovere civile. Così come dovrebbe essere per ogni maledetta guerra. Mostrare cos’è. Senza cartine militari, esperti pontificanti, pietismo. Quello che il giornalismo italiano non ha sempre fatto, inseguendo inutili scoop, lasciandosi trascinare nella vergognosa richiesta di schieramento. Tutti amici di Hamas, ricordate l’orribile convegno del Cnel? All’anteprima del 25 novembre a Milano hanno aderito l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, l’Associazione Lombarda dei Giornalisti, Articolo 21, la Fondazione Diritti Umani e, mi piace sottolinearlo, l’Associazione della Stampa Estera, che era rappresentata da Sanja Lucic, corrispondente dall’Italia per la televisione serba. Sanja ha spiegato che si è riconosciuta nella storia sul grande schermo, quando lei e la famiglia, avvisata da un amico, è riuscita a scampare ad un bombardamento Nato su Belgrado. Ester Castano, a nome dell’Ordine della Lombardia si è chiesta se abbiamo fatto tutto quello che era doveroso fare per raccontare questa guerra e per aiutare i colleghi e le colleghe palestinesi. Forse no. Per questo occorrono altre iniziative come questa.
