Gentile Ministra,
le scrivo dalla solitudine della “trincea”: quella in cui ogni giorno, da docenti, combattiamo l’eterna guerra contro la semplificazione, la superficialità, la violenza verbale. La scuola per noi è un presidio contro la profanazione della parole, la banalizzazione dei concetti, la riduzione del dibattito pubblico a rodeo di fazioni. Per questo le scrivo: per esprimerle il senso di desolazione che le sue parole (pronunciate durante un evento promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) hanno prodotto in quei docenti che da una vita si sforzano di illuminare le coscienze dei giovani, per sottrarle alla violenza dell’antisemitismo, del razzismo e di ogni forma di discriminazione.
La violenza delle sue parole, signora Ministra, è stata brutale. In un colpo solo, con sorprendente disinvoltura, ha oltraggiato la memoria di milioni di ebrei morti nei campi di concentramento che nelle sue parole diventano la meta di inutili scampagnate fatte da pigri professori; ha offeso l’antifascismo che da patrimonio ideale di tutti ha ridotto a ideologia di parte (sulla scia di quel volgare e ridicolo revisionismo della Presidente del Consiglio che lo riconduce alla violenza rossa degli anni di piombo); ha vilipeso la dignità e la professionalità dei docenti che, con abnegazione e generosità, effettuano duri e dolorosi “viaggi della memoria” (si chiamano così, non “gite”), accompagnando i giovani nell’orrore del male non solo in un viaggio fisico, ma in una lunga e attenta formazione storica e civile.
La furia ideologica delle sue parole e l’oscenità sfacciata che le anima non meriterebbero nemmeno una replica. Se le avesse pronunciate un nostro studente le avremmo interpretate come sintomo di un disagio a meno che, ravvedendosi, non avesse chiesto scusa. La senatrice a vita Liliana Segre, sempre misurata e sobria nei suoi interventi, è dovuta intervenire per smascherare il carattere assurdo e capzioso del suo intervento. Non so se nella poltiglia delle sue parole sia più indigesto il goffo intento revisionista o il bullismo verbale: una pratica sempre più diffusa tra i politici che con le parole cercano di riscrivere la storia, accendere l’odio, umiliare il debole, generare rabbia, dividere in fazioni l’opinione pubblica. E tutto per strappare un facile consenso con quella «neolingua» che Orwell aveva preconizzato: «la lingua diventa brutta e imprecisa perché i nostri pensieri sono stupidi, ma a sua volta la sciatteria della lingua rende più facili i pensieri stupidi».
Sì, signora Ministra, noi docenti accompagniamo da decenni i nostri giovani ad Auschwitz nei “viaggi della memoria” per spiegare loro, con l’aiuto dei testimoni sopravvissuti, che il nazismo e il fascismo hanno costruito una micidiale macchina della morte per lo sterminio degli ebrei; che Benito Mussolini ha redatto le leggi razziali; che l’Italia fascista è stata complice feroce e solerte della Shoah ; che il fascismo è stato intrinsecamente razzista, antisemita e misogino, cioè portatore di tutti quei mali che nella società talvolta hanno un rigurgito e contro cui lottiamo con la forza della cultura e dell’educazione, fedeli alla Costituzione, che è antifascista non per fare un dispetto al governo, ma perché definisce i suoi principi in antitesi a quella vicenda buia e avvilente della nostra storia.
Sì, signora Ministra, l’antisemitismo ha trovato nel fascismo e nel nazismo la sua realizzazione più feroce per cui una educazione volta al rispetto della dignità dei popoli, alla parità di genere e al rifiuto del razzismo e dell’antisemitismo non può che essere inscritta in una complessiva educazione antifascista.
Ma ha ragione quando dice che l’antisemitismo non è «una questione fascista e basta», perché trova una sua secolare preparazione nel terreno fertile dell’antigiudaismo cristiano. Sono i «re cattolici» Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia ad emanare nel 1492 un decreto di espulsione degli ebrei per tutelare non l’integrità della religione cristiana, ma la «limpieza de sangre», espressione che anticipa il gergo razzista del nazifascismo. A scuola leggiamo la Cum nimis absurdum, l’enciclica con cui papa Paolo IV nel 1555 istituisce il ghetto di Roma, un testo inquietante, che gronda di odio antiebraico. Si, Ministra, insegniamo che sono stati i papi a inventare la logica concetrazionaria, costruendo i ghetti e marchiando con la stella di David gli ebrei accusati del peggior crimine che si possa immaginare: l’uccisione di Dio, un crimine che, se avesse un senso, meriterebbe la “pena di morte” di un intero popolo, cioè la sua estinzione. Con Léon Poliakov insegniamo che i forni crematori sono alla fine di una sequenza storica e logica che prende avvio dall’odio antiebraico del Medioevo cristiano: «non potete vivere tra noi se non vi convertite; non potete vivere tra noi (anche se vi convertite), non potete vivere».
Venite a prenderci, signora Ministra, se pensate che insegnare queste cose significa offendere il sentimento religioso della patria o essere blasfemi.
Venite a prenderci se pensate (senza avvertire il senso del ridicolo) che accostare l’antisemitismo al fascismo sia un modo buttarla in politica e attaccare Meloni; venite a prenderci se la parola “antifascista”, come in America, comincia anche qui ad essere equivalente a “terrorista” e se educare all’antifascismo significa essere “di sinistra” o “comunista”.
Venite a prenderci se pensate che l’antisemitismo si annidi nelle scuole e nelle università italiane di oggi più di quanto non sia stato potente e devastante nel fascismo di ieri.
Venite a prenderci se pensate che riflettere a scuola sulla tragedia di Gaza, sia una forma di antisemitismo mascherato, di odio antiebraico, o di indottrinamento politico degli studenti per aizzarli contro il governo Meloni.
L’angoscia degli studenti e delle studentesse per la tragedia di Gaza, gentile Ministra, è entrata nelle scuole romane, facendosi passione per il sapere, voglia di comprendere, impegno civile e non becero antisemitismo.
Come poteva la scuola, dopo aver condannato con fermezza la ferocia terroristica del 7 ottobre, ignorare Gaza, dove sono 620.000 gli studenti e le studentesse senza una scuola, 11 le università bombardate, 432 gli edifici scolastici polverizzati, 18.000 i bambini in età scolare uccisi?
Mentre a Gaza, nel suo infanticidio, nel suo scolasticidio, nel massacro di un popolo, rischia di andare in cenere la nostra umanità, lei non sa fare altro che prendersela con i docenti e gli studenti, non sa fare altro che demonizzare la scuola e blaterare di “gite antifasciste”… E’ l’antifascismo il suo problema, Ministra, non l’antisemitismo che strumentalizza per fare propaganda.
Voi potenti, lassù, nel palazzo non avete il problema di entrare in una classe, non avete il problema di essere autorevoli e credibili. Avete solo il problema di racimolare voti seminando odio e disprezzo. Noi non possiamo perdere la fiducia dei nostri studenti e delle nostre studentesse. Dobbiamo comprendere anche la loro rabbia nel vedere che i loro coetanei, sull’altra sponda del Mediterraneo, ormai da due anni vengono uccisi, straziati, affamati, traumatizzati in modo irreversibile, mutilati, privati del diritto all’istruzione.
Di fronte alla barbarie che avanza e che interroga profondamente le coscienze, tutte le coscienze, al di là di ogni colore politico, la suola non può chiudersi nell’indifferenza. Nel 1938, quando si scatenò la furia antisemita dal regime fascista (posso fare questo collegamento o mi accuserà di essere un “cattivo maestro”?) la gran parte dei docenti e dei presidi tacque; quando in virtù delle leggi razziali fasciste, ragazzi e ragazze vennero allontanati dalla scuola italiana per il semplice fatto di essere ebrei nessuno levò la voce per difenderli.
Da italiani, signora Ministra, portiamo la responsabilità storica incancellabile della tragedia della Shoah. Tutti i 27 gennaio nelle nostre scuole si celebra il «Giorno della Memoria», per tenere vivo nelle giovani generazioni il ricordo di quell’oltraggio alla dignità dell’essere umano che ha macchiato per sempre la nostra storia e far crescere la consapevolezza che al di sopra della nazione, dell’etnia, dell’appartenenza a credi religiosi diversi, al di sopra dei confini stessi, sta un’unica umanità affratellata nella pace. Per noi non vale lo slogan “prima gli Italiani”. Un bambino palestinese non vale meno di un bambino italiano. Questo insegniamo a scuola. E immagino che per il governo di cui fa parte, che ha rispolverato il ferro vecchio del nazionalismo, sia qualcosa di sovversivo.
La scuola non ha ignorato e non ignora Gaza, ma questo non significa che abbia abbandonato il suo decennale e costante impegno contro l’antisemitismo. E’ anzi in nome dell’identico umanesimo antirazzista che può volgersi a guardare i nuovi popoli umiliati e offesi, i nuovi dannati della terra. E tutto questo lo ha fatto e lo fa senza uscire dal perimetro delle proprie competenze istituzionali, senza sconfinare in militanza politica, senza diventare una piazza chiassosa che istiga all’odio, al conflitto, al tifo scomposto (tutto questo lo lasciamo ai nostri ministri) ma rimanendo il presidio del sapere e della formazione dell’uomo e del cittadino.
