Per fortuna, esistono ancora due Italie, due mondi, due versioni dell’umanità. Da una parte, i tecnocrati, gli usurpatori, i malvagi, coloro che hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace, quelli che pensano di stipulare accordi territoriali e politici sulla pelle, e alle spalle, di un intero popolo, passando sopra la sua testa e ignorandone completamente le istanze; dall’altra, ci sono coloro che dicono no, che dicono basta e scendono in piazza. Sono coloro che in queste ore stanno riempiendo le strade e le piazze delle principali città italiane, che stanno occupando scuole e università, che sciopereranno venerdì, rimettendoci soldi e attirandosi magari anche qualche problema con i superiori, e manifesteranno sabato in nome di un Paese che ormai un po’ tutte e tutti abbiamo adottato. Perché oggi più che mai siamo tutti palestinesi, siamo tutti Flotilla, siamo tutti idealmente a bordo di quelle barche, anche se ci è ben chiara la differenza fra noi che scriviamo al caldo delle nostre comode case e loro che rischiano l’incolumità in mare aperto, che subiranno arresti, perquisizioni e chissà quali altre angherie da parte dell’esercito israeliano per aver provato a forzare un blocco navale indegno, disumano e fuorilegge. Sia chiaro: le acque di Gaza sono palestinesi e ciò che sta facendo Israele è illegale, contrario a ogni diritto internazionale, arbitrario e vergognosamente tollerato da un’Europa complice e da un Occidente che ha smarrito la bussola. Sia chiaro: l’equipaggio della Flotilla non è composto da eroi ma da persone che hanno scelto di odiare l’indifferenza, di non voltarsi dall’altra parte e di mostrare a popoli abbandonati a se stessi, e per lo più ignorati, che esiste ancora qualcuno in cui credere e un ideale per cui battersi. Tutto questo si chiama senso civico e vale oro.
Aderiamo, dunque, con convinzione allo sciopero generale di venerdì e alla manifestazione di sabato. Ci siamo perché è giusto, perché è doveroso e perché ci crediamo. Ma soprattutto ci siamo, e ci saremo sempre, perché non possiamo non opporci alla deriva cui stiamo andando incontro, alla tecnocrazia che avanza e pretende di decidere al posto dell’opinione pubblica, mettendo in burletta persino le elezioni e decidendo al posto nostro chi deve governare. Oggi a Gaza, domani da noi: guai a chi dovesse sentirsi al sicuro, a chi dovesse coltivare l’illusione errata che qui non può succedere. Qui sta già succedendo (vedasi alla voce Grecia ai tempi del referendum di Tsipras) e succederà ancora, almeno fino a quando non avremo il coraggio di opporci, di ribellarci e di fare massa critica.
Un invito mi sento di rivolgerlo in particolare a ragazze e ragazzi: per favore, votate. Votate per chi vi pare, ma votate. Perché l’astensionismo al 50 per cento ci dà la misura di una democrazia assente, dimidiata, in frantumi, di una società che viene meno, di una comunità che si ritira fino a scomparire. Manifestate ovunque e votate quando siete chiamati a farlo. E manifestate pacificamente: sarà più forte il vessillo della PACE di mille urla e di qualunque gesto violento (che non serve mai ed è assolutamente controproducente). Sappiate che i padroni del vapore e coloro che hanno il G8 di Genova come modello e la repressione come modus vivendi e operandi non aspettano altro, non solo alle nostre latitudini. E insistete, continuate ad accamparvi, risvegliate con i vostri corpi e la vostra giusta rabbia questa Nazione addormentata, diteci che siamo vecchi e sclerotizzati perché lo siamo ma prendeteci anche per mano. So bene che dovremmo essere noi a farlo ma, con ogni evidenza, non ne siamo stati capaci e non è detto che lo saremo in futuro. Troppa tattica, troppi calcoli, troppi cedimenti: questo siamo stati e siamo tuttora. Rianimate pertanto l’opposizione sociale e politica, infondetele nuova linfa, strappatela alla rassegnazione, innalzate la bandiera della speranza e fateci illudere nuovamente di poter cambiare il mondo. Poi magari non accadrà, rimarrete delusi anche voi, vi smarrirete e finirete, un giorno, a vergare riflessioni pensose come quelle che leggete in quest’articolo, ma per favore: poi. Adesso dateci una scossa: ne avvertiamo il bisogno.
Tutte e tutti in piazza, perché il nuovo fascismo ha nomi, cognomi e volti ben precisi e non si tratta delle nostre beghe di cortile ma di un disegno ben più ampio e globale. Non è questo il tempo del silenzio, non lo è mai a dire il vero, ma della presa di posizione coraggiosa e convinta. Dopodiché, facciamo assemblee, incontriamoci, andiamo nelle scuole, nelle università, nelle fabbriche, in tutti i luoghi in cui è nata la nostra Costituzione e guardiamoci negli occhi. Basterebbe questo per respirare ancora, per non sentirci sconfitti, per smetterla di arrenderci. E se proprio dovesse andar tutto storto, almeno non sarà stata una resa. Almeno avremo perso, ancora una volta, ma con dignità e coraggio. A testa alta.
