Giornalismo sotto attacco in Italia

Dalla parte di Ilaria Salis

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L’Ungheria di Orbán non è una democrazia.
Non lo è mai stata, a dire il vero, ma adesso l’apparato repressivo ha raggiunto livelli inquietanti. E nel momento in cui Zoltán Kovács, segretario di Stato per le comunicazioni e le relazioni internazionali dell’Ungheria, arriva addirittura a pubblicare le coordinate di un carcere di massima sicurezza, quello di Márianosztra, è evidente che si tratti di una persecuzione politica in piena regola.
Una persecuzione senza prove, peraltro, senza alcun capo d’accusa chiaro e credibile, senza alcun movente che non sia l’odio feroce di questa destra estremista e fascisteggiante nei confronti di tutto ciò che profuma di giustizia sociale, libertà d’espressione e antifascismo. Trumpismo in purezza, quindi, lo stesso che si sta abbattendo contro un comico come Enzo Iacchetti, reo di aver preso apertamente posizione a favore della Palestina e di aver risposto a tono a un tizio che si è permesso persino di chiedergli in diretta la definizione di bambino, alludendo forse al fatto che ogni bambino palestinese sia un potenziale terrorista o, peggio ancora, mettendo in discussione la realtà, ossia che a Gaza e in Cisgiordania sia in atto un genocidio el quale sono caduti oltre ventimila bambini. Un vento mondiale, dunque, lo stesso che spirava negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, al quale abbiamo il dovere di opporci.
Il Parlamento europeo può e deve respingere la richiesta di revocare l’immunità parlamentare a Ilaria Salis, onde evitare che venga riconsegnata ai suoi carnefici, a un governo che non rispetta lo Stato di diritto, che non sa neanche dove stia di casa l’habeas corpus, che non conosce pietà e che è intenzionato a dar vita a pratiche putiniane nei confronti degli oppositori. Un esecutivo nemico dell’Europa e dei suoi valori, che avremmo dovuto cacciare da tempo dall’Unione Europea e che non possiamo limitarci a condannare quando fa le fusa all’autocrate del Cremlino, dato che è l’orbánismo in sé a essere incompatibile con tutto ciò che questo continente rappresenta o, quanto meno, dovrebbe rappresentare.
L’atteggiamento delle destre contemporanee, a cominciare da quella italiana, non ci sorprende: hanno gettato la maschera da anni, sappiamo chi siano, cosa vogliano e quanto sperino che le pratiche messe in atto dall’ammiratore dei despoti che risiede alla Casa Bianca si diffondano anche alle nostre latitudini.
Non ci aspettiamo nulla di buono da loro, ma dai pochi liberali rimasti, ad esempio in Forza Italia, sì. Vogliamo illuderci, probabilmente invano, che sappiano ancora distinguere il dissenso politico dalla condanna a morte, perché a questo andrebbe di fatto incontro Ilaria Salis qualora fosse gettata nuovamente nelle mani dei suoi torturatori.
Vogliamo illuderci che esista ancora qualche liberale nel PPE, auspicabilmente in Germania, in quello che fu il partito di Kohl e Angela Merkel, due cancellieri che hanno speso l’intera vita a combattere il nazismo e ogni forma di estremismo. Vogliamo illuderci che ce ne sia ancora qualcuno anche in Spagna, nel partito che fu di Aznar, non perché abbiamo mai condiviso qualcosa del loro operato ma perché ne abbiamo sempre riconosciuto la dignità democratica e la natura profondamente europeista. V
ogliamo sperare, insomma, che prima dell’abisso ci sia ancora qualche erede di De Gasperi, Schuman e Adenauer che prenda le distanze da chi grida dal palco “remigrazione”, da chi sta occupando senza ritegno il servizio pubblico, da chi, di fatto, in America, inneggia alla guerra civile, da chi è pronto a sacrificare i più deboli sull’altare del profitto e da chi sta calpestando innanzitutto i valori di una destra liberale, repubblicana e costituzionale dalla quale ci sentiamo lontani ma alla quale abbiamo sempre guardato con rispetto e, in alcuni passaggi, finanche con stima.
Ci stringiamo, infine, intorno alla famiglia Salis, a un grande liberale come suo padre Roberto e ad attiviste e attivisti di tutte le idee politiche che stanno manifestando la propria concreta solidarietà a una donna, prim’ancora che a un’europarlamentare, che rischia di essere spedita all’inferno da coloro che si riempiono continuamente la bocca dei “valori occidentali” e della necessità di difenderli.
Non consentiremo che Ilaria torni a Budapest né che venga ulteriormente aggredita e dileggiata: ne va della dignità dell’Europa e ci riguarda tutti.

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