Giornalismo sotto attacco in Italia

Dalla cittadinanza onoraria al sostegno golpista: la Lega e l’ombra di Bolsonaro

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Non è la prima volta che il nome di Jair Bolsonaro incrocia quello della Lega. Già nel 2018, quando l’ex capitano dell’esercito vinse le elezioni presidenziali in Brasile, a Venezia comparve uno striscione firmato da esponenti leghisti con la scritta “Bolsonaro orgoglio veneto”. Un gesto che trasformava la vittoria di un leader di estrema destra sudamericano in un simbolo identitario per la politica del Nordest italiano. Qualche anno più tardi, ad Anguillara Veneta, il piccolo paese padovano da cui partì il trisnonno di Bolsonaro, la sindaca leghista Alessandra Buoso volle conferirgli la cittadinanza onoraria. Una decisione contestata da studenti, associazioni, ANPI, ambientalisti, che videro in quell’atto un omaggio inaccettabile a un presidente noto per le sue politiche negazioniste sul Covid, per il disprezzo verso le popolazioni indigene e per la devastazione della foresta amazzonica. Ma per la Lega fu l’occasione per ribadire un legame identitario e politico che travalicava i confini italiani. Oggi, quel filo rosso torna d’attualità in una forma ancora più inquietante. Bolsonaro è stato condannato a 27 anni per tentato golpe. La giustizia brasiliana ha stabilito che l’ex presidente cercò di sovvertire le istituzioni democratiche del suo Paese. Non un reato qualsiasi, ma la più grave delle eversive ambizioni: il colpo di Stato. È su questo sfondo che si colloca il messaggio di solidarietà del vicepremier Matteo Salvini. Un messaggio che non è solo una caduta di stile, né una provocazione propagandistica: è una dichiarazione di gravità senza precedenti per chi ricopre un incarico istituzionale di vertice. Solidarizzare con un leader condannato per eversione significa accettare, almeno simbolicamente, che il tentativo di rovesciare la democrazia possa essere comprensibile, giustificabile, persino difendibile. È un segnale devastante sul piano politico e culturale, perché smonta quel confine invalicabile che dovrebbe separare chi governa in una democrazia da chi la democrazia la vuole abbattere. Il problema non è solo internazionale, anche se non è difficile immaginare come verranno lette all’estero le parole del leader leghista: un vicepresidente del Consiglio italiano che sceglie di stare al fianco di un condannato per colpo di Stato. Il problema è interno, democratico, costituzionale. Quale credibilità hanno le istituzioni italiane se uno dei massimi rappresentanti del governo mostra comprensione verso chi ha provato a distruggere la sua Repubblica? Quale garanzia di rispetto della Costituzione può venire da chi sembra non riconoscere la gravità assoluta dell’eversione?
Non si tratta di polemica politica tra avversari. Qui non è in gioco una maggioranza o un’opposizione, ma l’essenza stessa della democrazia. Per questo il Quirinale non può tacere. Perché se davvero le istituzioni sono custodi della Costituzione, allora devono dire con chiarezza che solidarizzare con un golpista non è compatibile con chi governa in Italia. La storia insegna quanto velocemente le parole possano trasformarsi in fatti. È proprio quando la politica normalizza l’eversione che la democrazia si indebolisce. E allora resta una domanda che non riguarda solo Salvini o la Lega, ma tutti noi: fino a che punto siamo disposti a tollerare chi usa il potere per strizzare l’occhio a chi la democrazia l’ha già tradita?

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