Giornalismo sotto attacco in Italia

Campagna occhi aperti sulla Cisgiordania. I predatori di terre e acqua/ Il reportage

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Dal 7 ottobre 2023 in Cisgiordania i coloni si sono impossessati di appezzamenti  di terra vasti quanto la striscia di Gaza. Gli avamposti (in genere container bianchi) spuntano dalla sera alla mattina  in posizioni strategiche – sempre in cima alle colline per poi potersi espandere a valle –  e a macchia di leopardo con l’ obiettivo di interrompere la continuità dei territori  occupati rendendo così più complicata  la creazione di un futuro Stato della Palestina. Piazzato l’avamposto dopo un annetto chiedono al governo israeliano – che li  sponsorizza con denaro ed armi –   di essere riconosciuti come colonia. Ed il gioco è fatto.  Nel 1993 dopo i fallimentari accordi di Oslo e la divisione della West Bank in zona A sotto il pieno controllo dell’ANP, zona B a controllo misto e zona C sotto controllo militare ma non civile israeliano i coloni erano 50mila, oggi sono oltre 800mila. E crescono alla velocità della luce. Per il diritto internazionale gli insediamenti israeliani nei territori occupati sono illegali, in alcuni casi lo sono anche per il diritto israeliano. Ma nessuno li blocca. Giorno dopo giorno la Palestina  scompare  nell’assordante silenzio del mondo, sotto  gli occhi pavidi e conniventi degli  Usa, dell’Europa e degli organismi internazionali, gli stessi  che non muovono un dito per fermare il genocidio   a Gaza. Sono potuta entrare nei territori occupati grazie ad AssopacePalestina e alla sua straordinaria ed infaticabile animatrice Luisa Morgantini, sperimentando direttamente cosa significa   vivere sotto occupazione israeliana. Un gioco che schiaccia i palestinesi da 70 anni diventato ancor più pesante con il governo di estrema destra  di Netanyahu.

Entriamo a Gerusalemme est da Amman attraverso il ponte Allenby, dove il 18 settembre un attentato ha ucciso due soldati israeliani, ragion per cui il valico è rimasto chiuso, ovviamente solo per i palestinesi che da lì passano per andare a lavorare in Giordania. Prima tappa Gerico, nella valle del Giordano, dove incontriamo gli attivisti di To exist is to resist. Dagli Ottanta sono al fianco degli agricoltori e delle comunità beduine oggetto di una pesante pulizia etnica, purtroppo già ampiamente portata a termine. Un tempo assai numerosi i beduini sono spariti, cacciati con la solita violenza dai coloni. Le incursioni anche notturne sono all’ordine del giorno, le minacce e gli espropri anche. Qui si capisce  davvero cosa significa Sumud, la resistenza non violenta con la quale i palestinesi combattono l’espansionismo sionista.  All’attivista  Abu Sakr, ad esempio,   i bulldozer hanno distrutto  32 volte la  casa, e lui 32 volte l ha ricostruita. I coloni girano armati per i villaggi, hanno nomi e volti ben noti. Ma nessuno li blocca. Anzi vengono incoraggiati da Tel Aviv  ad espandersi, tagliare l’elettricità e requisire l’acqua. Abbiamo visto condutture  cementificate o recintate con filo spinato, molte  scritte  in ebraico che recitano “non avrete la nostra acqua”.  10mila  coloni ne  consumano più  dei 56mila palestinesi residenti nella valle del giordano (nel 1967 erano 320mila). Senza acqua i contadini non possono abbeverare le bestie, né coltivare.  E se la terra è coltivata viene requisita dai coloni.  Il 70% dei datteri esportati da Israele in Europa sono prodotti in insediamenti illegali della valle del Giordano. Sarà bene tenerlo  a mente.
Mentre a Gaza va avanti il genocidio, in Cisgiordania prosegue la pulizia etnica.  Due facce della stessa strategia di Netanyahu: annientare i palestinesi e cacciarli dalla loro terra. Una seconda Nakba –  dicono in molti – portata avanti in modo meno plateale rispetto allo stermino in corso nella striscia ma ugualmente dolorosa in uno stillicidio quotidiano di incursioni  nelle abitazioni, distruzioni con i bulldozer di case e scuole, animali uccisi, uliveti  sradicati. E umiliazioni. Come facciano a resistere pacificamente a tanta cattiveria e  ingiustizia deve essere per tutti una grande lezione.

Abbiamo sperimentato anche noi la violenza dei coloni a  Umm Al Kahir nella zona di Masafer Yatta , la comunità di 12 villaggi circondata da insediamenti  dove è girato No Other Land. Eravamo a casa del fratello di Awadah Hathaleen il collaboratore del film premio oscar ucciso a luglio a sangue  freddo da  Yinon  Levy. Nonostante le immagini parlassero chiaro, gli israeliani hanno lasciato libero l’assassino dopo poche ore e arrestato invece una decina di uomini del villaggio e requisito per giorni il cadavere del ragazzo. Nel cortile di casa c’è un piccolo memoriale fatto di sassi con ancora tracce di sangue di Awadah. A pochi passi dietro  la rete, i caterpillar  israeliani e la bandiera con la stella di David di un nuovo insediamento in costruzione. I coloni non hanno gradito la nostra presenza, hanno circondato il pullman e minacciato l’autista . La polizia sionista è  arrivata in assetto di guerra ci ha bloccati, controllato i passaporti e poi lasciati andare. Ai palestinesi questa fortuna non capita mai. Le autorità israeliane prendono sempre le difese dei coloni anche se sono loro a provocare, assalire, distruggere. Ecco perché i palestinesi hanno dovuto sviluppare l’arte del sumud, la resistenza non violenta. “Non abbiamo alternative” ci ha detto anche il fratello di Awadha  “rispondere con le armi o anche solo scagliare una pietra significa essere uccisi”.

Dal 7 ottobre nella West bank occupata sono stati uccisi oltre mille cittadini palestinesi e più di novemila feriti. Morti che, nonostante gli ammonimenti internazionali, non hanno avuto e non avranno mai giustizia.

 

1.continua


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