È giunto il momento della verità. Le autorità italiane non potranno più continuare a far credere di sostenere la libertà di stampa e il pluralismo dei media senza intraprendere alcuna iniziativa in tal senso. A partire da oggi, saranno tenute a conformarsi al Regolamento europeo sulla libertà di stampa, lo European Media Freedom Act (Emfa), che entra oggi pienamente in vigore, con obblighi precisi che – se non rispettati – potrebbero scatenare sanzioni europee.
Per la prima volta nella storia dell’Unione europea, a partire da oggi vengono applicate norme vincolanti comuni in materia di libertà di stampa a tutti i paesi membri dell’Ue, indipendentemente dal fatto che abbiano adeguato o meno la loro legislazione interna alle nuove disposizioni.
Questo regolamento europeo segna un importante passo avanti democratico, in un contesto in cui l’ecosistema mediatico di molti stati è in crisi. Tanti media non hanno ancora trovato un modello economico sostenibile di fronte al saccheggio delle loro risorse editoriali e pubblicitarie da parte delle grandi piattaforme digitali; i giornalisti, sempre più precari e costantemente sottoposti ai tentativi di screditamento dei leader populisti, hanno difficoltà a svolgere appieno il loro ruolo di contropotere al servizio dell’interesse pubblico; una parte sempre più consistente della popolazione non ha più fiducia nella stampa e addirittura si allontana deliberatamente dai mezzi di informazione.
È questo quadro cupo che ha spinto l’Unione europea a imporre agli stati una regolamentazione volta a preservare l’indipendenza dei media e la loro sostenibilità attraverso una serie di disposizioni concrete in diversi ambiti: trasparenza sulla proprietà dei media e lotta al fenomeno della concentrazione di mercato, trasparenza ed equa distribuzione della pubblicità istituzionale, indipendenza politica e finanziamento sostenibile dei media pubblici, indipendenza delle autorità di regolamentazione dei media (l’Agcom, in Italia), indipendenza editoriale delle redazioni, protezione delle fonti giornalistiche…
Per garantire l’attuazione di queste nuove misure di protezione, la Commissione ha istituito un super-regolatore europeo, lo European Board of Media Services (Ebms), che vigilerà sull’applicazione del regolamento e potrà segnalare le violazioni alla Commissione europea, la quale a sua volta potrà adottare sanzioni nei confronti degli stati membri recalcitranti.
Dopo Turchia, Ucraina, Francia e Serbia, l’Italia è il paese membro del Consiglio d’Europa che ha registrato il maggior numero di violazioni della libertà di stampa negli ultimi dieci anni, secondo la Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo. Tre quarti delle segnalazioni registrate riguardano casi di molestie o violenze fisiche nei confronti di giornalisti.
L’Italia fa anche parte, insieme a Croazia, Grecia, Irlanda e Polonia, del ristretto gruppo di stati dell’Unione europea che continuano a criminalizzare la diffamazione, in totale contraddizione con gli standard giuridici europei, basati sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Cosa aspetta la Repubblica italiana per modificare questa legislazione indegna di una democrazia?
In realtà, la gravità della situazione italiana in termini di libertà di stampa avrebbe dovuto spingere il governo ad adottare con decisione misure ambiziose, se fosse stato davvero interessato a proteggere questa libertà fondamentale. Non è stato fatto nulla. Nessun progresso, come rileva la relazione sullo stato di diritto in Italia pubblicata a luglio dalla Commissione europea. Chi detiene il potere in Italia è evidentemente troppo soddisfatto dell’indebolimento del contropotere mediatico.
Con l’entrata in vigore dell’Emfa, le maschere cadono. In Italia, due questioni fondamentali permetteranno di valutare abbastanza rapidamente la buona (o cattiva) volontà del governo di fronte all’entrata in vigore del regolamento europeo sulla libertà dei media: l’indipendenza della Rai e la protezione dei giornalisti dagli spyware.
Il recente studio “Media Pluralism Monitor”, coordinato dall’Istituto universitario europeo di Firenze, mostra che l’Italia ha una delle radiotelevisioni pubbliche meno indipendenti d’Europa. Su 32 paesi studiati, sulla base di criteri scientifici oggettivi, la Rai è classificata al quinto posto tra le emittenti più influenzate dalla politica, dietro ai media pubblici di Turchia, Ungheria, Slovacchia e Bosnia-Erzegovina.
È un dato scientificamente provato: in Albania, Bulgaria o Montenegro, la televisione pubblica è molto più libera e indipendente che in Italia. E le autorità pubbliche italiane non hanno fatto nulla, negli ultimi dieci anni, per migliorare la situazione. Anzi, al contrario.
Indebolita dal governo Renzi nel 2015, la Rai è soggetta a continue interferenze politiche nella sua gestione e nel suo finanziamento. Per non parlare delle manovre politiche volte a screditare i programmi che informano ma disturbano il potere, come Report e il suo conduttore, Sigfrido Ranucci, bersaglio di attacchi politici inqualificabili.
Che piaccia o no al governo italiano, è ora necessario applicare rigorosamente l’articolo 5 dell’Emfa, che non consente più la nomina da parte della maggioranza governativa dei sette membri del consiglio della Rai e dell’amministratore delegato della Rai. Sarà inoltre necessario rivedere la durata del loro mandato (attualmente di tre anni), che espone chi riceve l’incarico a un elevato rischio di pressioni politiche. Infine, è inconcepibile, in una democrazia, che i direttori dell’informazione siano nominati in base al loro orientamento politico. Queste pratiche di un’altra epoca sono tipiche delle repubbliche delle banane.
L’altra grande prova democratica per l’Italia è rappresentata dall’articolo 4 del regolamento Ue, che contiene disposizioni specifiche sulla protezione dei giornalisti da interferenze esterne nel loro lavoro e sulla protezione delle fonti giornalistiche, in particolare dall’uso di spyware.
In teoria, l’articolo 200 del codice di procedura penale italiano riconosce il segreto professionale dei giornalisti e garantisce loro il diritto di proteggere le proprie fonti, il che costituisce una garanzia democratica essenziale.
Ma negli ultimi anni l’Italia è stata colpita dai peggiori scandali di sorveglianza dei giornalisti mai identificati in Europa: il caso Simone Innocenti nel 2024, il caso Paragon all’inizio di quest’anno, poi il caso Ciro Pellegrino a maggio, Dagospia a giugno… Anche in questo caso, la portata dello scandalo avrebbe dovuto giustificare una reazione immediata da parte dell’esecutivo.
Ma non è successo nulla, il governo italiano si è limitato a smentire di essere all’origine di questi casi di spionaggio illegale dei giornalisti…
Come è possibile, in una democrazia, che a mesi di distanza dal deflagrare di questi scandali, e nonostante l’indagine giudiziaria avviata nel mese di marzo su iniziativa della Fnsi e dell’Ordine nazionale dei giornalisti, non si sappia ancora chi ha spiato questi giornalisti e a quale scopo?
Questa cortina fumogena va a vantaggio dei potenti. Questa impunità alimenta l’autocensura dei giornalisti. Non si può escludere l’ipotesi di una volontaria inazione.
Va ricordato che durante i negoziati sull’Emfa, nel dicembre 2023, il governo italiano faceva parte del gruppo di sette governi europei che avevano tentato di legalizzare lo spionaggio dei giornalisti introducendo un’eccezione all’articolo 4 dell’Emfa per tutte le questioni di “sicurezza nazionale”… Eccezione che alla fine è stata respinta. La domanda quindi sorge spontanea: il governo italiano applicherà rigorosamente un regolamento di cui ha combattuto le disposizioni più protettive della libertà di stampa un anno e mezzo fa? Il dubbio è lecito.
Una cosa è certa: le organizzazioni che difendono il diritto dei cittadini italiani ad accedere a un’informazione libera, indipendente e pluralista, a cominciare dalla Federazione europea dei giornalisti – la European Federation of Journalists (Efj) – saranno le prime a denunciare alla Commissione europea qualsiasi violazione del nuovo regolamento.
L’Emfa è un nuovo scudo contro i nemici della libertà di stampa. Bisognerà mettersi nell’ottica di usarlo.
Ricardo Gutiérrez è segretario generale della Federazione europea dei giornalisti (Efj) e professore di giornalismo all’Université libre de Bruxelles
(Pubblicato su Editoriale Domani)
