Nella Sala della Regina della Camera dei deputati si è tenuta ieri l’annuale relazione dell’ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, presieduto da Pasquale Stanzione.
Il testo pronunciato è il prolegomeno di una ricchissima memoria di 262 pagine, che inizia con diversi numeri forniti: 16.045 contatti, 2.204 notifiche di data breach, 386 quesiti, 4.030 reclami, 94.948 segnalazioni, 835 provvedimenti del Collegio, 104 pareri, 468 misure correttive, 24.430.856,45 euro di sanzioni pecuniarie pagate. E via correndo tra capitoli e spunti riassuntivi di un impegno assai capillare, sulla base di una organizzazione mutuata dal primo protagonista del Gpdp, Stefano Rodotà.
L’esposizione di fronte al pubblico delle invitate e degli invitati non ha evitato, giustamente, di toccare un tema di stretta e atroce attualità, come la circolazione mediale delle immagini dell’autopsia di Chiara Poggi. Anzi. La riapertura di tale cold case (l’assassinio della giovane di Garlasco avvenuto nell’agosto del 2007) si sta segnalando come una vertiginosa caduta agli inferi di ogni umanità: quante volte viene uccisa una donna? Siamo di fronte a un buco nero nello e dello stesso modo di procedere della giustizia e -nel contempo – della rappresentazione comunicativa dei processi.
La privacy è via via smantellata, e la combinazione tra la sorveglianza di massa indotta dalle tecniche più evolute e il voyeurismo come stile di governo della vita porta con sé conseguenze disastrose.
Siamo dentro una tormentata transizione, dominata dall’Intelligenza artificiale, che si delinea sempre più quale general-purpose technology, in grado di influenzare l’intero sistema. Tutto questo avrà enormi ricadute sul lavoro, 2 milioni di posti in meno già nel 2030. E non solo.
Malgrado simili conseguenze, nel mondo il 66% delle persone utilizza l’i.a. con una certa regolarità e il mercato è cresciuto del 52% nel 2024.
Ma non ci si ferma alle questioni civili, essendo il mondo algoritmico ormai parte integrante della diffusa età bellica, attraverso l’utilizzo pieno della cyberguerra. I robot via via sostituiscono gli esseri umani ed è tempo di occuparsi del post-umano. Prima che sia troppo tardi.
Stanzione ha sottolineato che l’algoritmo ha un genere prevalente, quello maschile, in quanto l’addestramento dell’i.a. avviene con la meccanica utilizzazione dei dati accumulati: figlia di culture patriarcali, di antichi stereotipi e di logiche conservative.
I dati ridefiniscono l’idea di sovranità ed entrano nel vivo della competizione geopolitica; diviene assai labile lo spartiacque tra vero e falso, con il ricorso crescente a deepfake e – ad esempio- con il rifiuto di Meta di fare uso del fact-checking.
Non per caso il nuovo Pontefice Leone XIV ha parlato appena dopo l’insediamento della necessità di occuparsi di Intelligenza artificiale, paradigma sociale e produttivo, come fu il macchinismo descritto e criticato dal precedente Leone XIII con l’enciclica Rerum Novarum. L’impostazione cristiana evoca l’algoretica, ovvero i limiti da porre al mero determinismo tecnologico in base a principi e valori.
Le istituzioni laiche pongono il problema delle regole e delle responsabilità, attraverso il Regolamento europeo appena entrato in vigore e mediante normative in corso d’opera come la riforma del sequestro dei dispositivi elettronici. Quante cose mancano ancora all’appello.
Stanzione, verosimilmente per rispetto del parlamento, sorvola sull’articolato assai fragile del governo in materia proprio di i.a. in terza lettura al Senato e ora oggetto di polemica tra il ministro della difesa e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Così, poteva essere di maggiore forza la denuncia dello spionaggio dei telefoni di giornalisti e operatori umanitari attraverso dalla società israeliana Paragon. Insomma, una relazione pregevole in un universo spregevole.
