Giornalismo sotto attacco in Italia

Sergio Mattarella l’ultimo dei democratici

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Presidente della Repubblica italiana dal 2015, quest’uomo discreto di 83 anni, entrato in politica dopo l’assassinio del fratello da parte della mafia nel 1980, gode di una legittimità che perfino la
destra al potere non gli contesta. Quando il miliardario americano Elon Musk ha tentato di ingerirsi nella vita politica italiana attaccandone la magistratura, colpevole secondo lui di contrastare la politica migratoria della sua “amica” presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha trovato di fronte a sé un uomo di un altro mondo, di un’altra epoca. Un vecchio europeo, Un vecchio democratico. Un uomo di Stato discreto ma dalla legittimità incontestata, un repubblicano impastato di valori cristiani: il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, 83 anni.

«Quei giudici devono andarsen», aveva scritto il 12 novembre 2024 sul suo social X l’uomo d’affari americano, sostegno del presidente Trump e padrino dichiarato dell’estrema destra mondiale. Il capo dello Stato italiano gli ha risposto il giorno seguente senza neppure nominarlo: «Chiunque, particolarmente se, come annunziato, in procinto di assumere un importante ruolo di governo in un Paese amico e alleato, deve rispettare la sovranità [dell’Italia] e non può attribuirsi il compito di impartirle prescrizioni».

Il “fuoco incrociato” tra l’uomo più ricco del mondo, avviato alla conquista interplanetaria, e il presidente di una vecchia nazione madre della cultura classica europea catalizza il confronto tra due
concezioni antagoniste della politica. Da un lato, l’affermazione di una autocrazia elettorale nella quale una elezione vittoriosa è la sola condizione di un potere illimitato. Dall’altro, una concezione
della democrazia fondata su contropoteri e vincoli legali, ma anche filosofici. Il presidente della Repubblica italiana è il garante di questa seconda opzione, a rischio di mettere sottilmente in causa
la linea del governo italiano. Genio prezioso per la presidente del Consiglio di estrema destra, Musk è paragonabile ai «nuovi signori feudali» per il capo dello Stato. Molto prima di essere il primo grande presidente europeo ad alzare il tono di fronte ai magnati della Silicon Valley, il presidente della Repubblica italiana ha già condotto, nella sua Sicilia natale, una guerra contro altri «usurpatori della sovranità democratica», come definisce gli oligarchi alla corte di Washington: i padrini mafiosi che corrodevano le strutture del potere insulari. Non si può infatti comprendere Sergio Mattarella senza immergersi nella realtà della Sicilia del dopoguerra. Suo padre Bernardo (1905-1971), anticomunista, più volte ministro, è tra i cacicchi siciliani della Democrazia Cristiana (DC), una formazione divisa in diverse correnti, ma egemonica nella vita politica italiana fino agli anni ‘80. In Sicilia, la DC dell’epoca è profondamente infiltrata dalla mafia. Nel 1965,
Bernardo Mattarella è perfino accusato di collusione con il crimine organizzato. Nessuna prova sarà mai presentata e il suo accusatore sarà condattato per diffamazione.

Impegno sacrificale
Il fratello maggiore di Sergio Mattarella, Piersanti, nato nel 1935, si afferma a sua volta come una figura in ascesa della politica italiana. Appartenente alla sinistra della DC, è l’erede di Aldo Moro, il presidente del partito, assassinato nel 1978 dalle Brigate Rosse, mentre preparava il «compromesso storico» con il Partito comunista italiano. Carismatico ed estroverso, mentre il fratello minore è l’umiltà in persona, Piersanti Mattarella è, anch’egli, favorevole alla collaborazione con i comunisti. Soprattutto, intende purgare la DC siciliana dalle sue metastasi mafiose. Nel 1978 viene eletto
presidente della regione, divenuta teatro di un conflitto armato tra clan mafiosi e di un’ondata di assassinii contro responsabili pubblici. In questo clima di grande violenza sopraggiunge l’evento
che condannerà Sergio Mattarella alla politica.

Un’immagine di questo istante decisivo è rimasto nella memoria, ripresa dalla leggendaria fotografa di questa guerra civile siciliana, Letizia Battaglia (1935-2022). Vi si vede il giovane Sergio, allora trentanovenne, portare il corpo del fratello ucciso da un proiettile, il 6 gennaio 1980. Gli esecutori non sono mai stati identificati, anche se i mandanti mafiosi sono stati condannati. Una nuova inchiesta è stata aperta in gennaio su questo caso che è tra i più importanti “misteri italiani”, quei fatti violenti e non risolti che punteggiano la seconda metà del XX secolo.
«Sergio non aveva intenzione di fare politica. Ma non si poteva lasciar svanire l’eredità di Piersanti, la sua lotta contro la mafia, la fiaccola che aveva raccolto da Moro”, ricorda Leoluca
Orlando, 77 anni, consigliere giuridico del presidente della regione Sicilia assassinato ed ex sindaco emblematico della rinascita di Palermo negli anni ‘90. La sua esitazione è comprensibile: fare
politica nella Sicilia di quegli anni vuol dire rischiare la vita. L’impegno di Sergio Mattarella ha qualcosa di sacrificale.

«Nonostante il rispetto che avevamo per l’evento che lo aveva colpito, ritenevamo che Sergio non avesse il diritto di lasciare scoperto il fronte che il fratello aveva difesa, racconta un altro
democristiano siciliano, l’ex deputato Calogero Pumilia, 88 anni. Era il simbolo di una DC immunizzata contro la mafia».
Sergio Mattarella entra quindi in politica all’inizio degli anni ‘80. Maestro nell’arte del “compromesso senza compromissioni”, mette ordine nel partito in Sicilia e forma un esecutivo con i
comunisti a Palermo sulla linea di Aldo Moro. Nel 1991, in una rara intervista rilasciata a Rai Radio 2, indica da dove nasce il suo stile: «La forza d’animo, la determinazione ad agire non viene (…)
espressa dai decibel (…), non è urlando che si esprime una maggiore forza di volontà».
Negli anni successivi che vedono crollare, in una serie di scandali, il sistema dei partiti tradizionali, Sergio Mattarella si opporrà all’affarista Silvio Berlusconi (1936-2023). Nel 1990, dà le dimissioni, come reazione ad una legislazione che rafforza l’impero audiovisivo dell’imprenditore. Più tardi, vicepresidente del Consiglio, poi ministro della difesa, è parlamentare fino al 2008, prima di essere nominato giudice alla Corte costituzionale. La vita pubblica del professore di diritto avrebbe potuto concludersi lì. Ma Matteo Renzi, presidente del Consiglio, nel periodo della sua ascesa, rende possibile l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, nel 2015. Il giorno dello scrutinio, la RAI, l’ente audiovisivo pubblico, non riesce a trovare immagini d’archivio per illustrare la notizia. Il primo presidente siciliano è un uomo discreto.

«Renzi voleva un presidente che non si facesse notare», spiega Marco Damilano, autore de Il Presidente (La Nave di Teseo, 2021). Non sarà così. Il presidente del Consiglio perde un
referendum costituzionale l’anno seguente e dà le dimissioni. Con la formazione di un governo populista degli antisistema del Movimento 5 stelle e della destra radicale della Lega nel 2028,
Sergio Mattarella incarna la continuità delle istituzioni e l’impegno europeo dell’Italia. Si oppone alla presenza al ministero dell’economia di Paolo Savona, favorevole all’uscita dall’euro.
Antipopulista, Sergio Mattarella continua ad essere popolare. È il presidente consolatore di un paese in cui le catastrofi naturali frequenti alimentano la sfiducia nei confronti delle autorità incaricate di prevenirne gli effetti. «Come un cardinale sconosciuto che diventa papa, Mattarella ha mostrato di possedere delle qualità che andavano al di là di ciò che avevamo immaginato fino a quel momento», racconta Calogero Pumilia.
«Il Covid ha traumatizzato il paese. La sua missione è stata di tranquillizzarlo e di contrastare il complottismo, prosegue l’ex parlamentare. È stato il riferimento, la garanzia, la stabilità». Per far
fronte alla pandemia, Sergio Mattarella ha fatto un uso eccezionale dei suoi poteri per portare a capo di un esecutivo di unità nazionale il tecnocrate Mario Draghi, nel 2021. Ex governatore della
Banca centrale europea, salvatore dell’euro, passa per essere l’italiano più rispettato. Arriva proprio nel 2022 la fine del primo mandato di Sergio Mattarella. Draghi non riesce ad essere il suo
successore e l’insieme delle forze politiche si mette d’accordo perché Mattarella resti come capo dello Stato. Ad eccezione della destra postfascista di Giorgia Meloni, colei con cui dovrà coabitare
dopo le elezioni legislative dell’ottobre 2022.

Capacità di mediazione
Il mondo di Sergio Mattarella, democratico cristiano di sinistra antifascista, e quello di Giorgia Meloni, militante professionale di estrema destra prveniente dalla periferia di Roma, e legata a Viktor Orban e a Donald Trump, sono separati da una distanza abissale. “È l’opposto dell’estrema destra che immagina una relazione diretta e falsa con il popolo, che crea paure e non concepisce l’idea che il governo abbia anche dei contrappesi, dei poteri diversi che si controllano reciprocamente», riassume Calogero Pumilia. Sergio Mattarella, che ha studiato dai gesuiti, viene da una matrice intellettuale che deve molto ai filosofi cattolici umanisti francesi come Jacques Maritain (1882-1073) e Emmanuel Mounier (1905-1950), il pensiero dei quali si è sviluppato in
opposizione ai totalitarismi. A Roma, frequenta assiduamente la cappella del Quirinale, l’antico palazzo dei papi.

La capacità di mediazione del presidente gli permette di mantenere il dialogo con il governo per far prevalere la Costituzione. Il suo ruolo è stato importante nel rendere più moderato un progetto
securitario, di cui ha potuto far cadere le disposizioni più dure, come la detenzione di donne incinte o l’obbligo degli enti pubblici di collaborare con i servizi di sicurezza. Ma Sergio Mattarella non si limita questi colloqui dietro le quinte. Prende posizione, sottilmente ma chiaramente, nello spazio pubblico, dove rimane inattaccabile, perché attaccare lui significa attaccare la Costituzione.
Nel maggio 2023, ha colto l’occasione di un omaggio al grande scrittore Alessandro Manzoni (1785-1873) per respingere qualsiasi etnicizzazione della nazione dopo le affermazioni di un
ministro sulla «sostituzione etnica». «L’identità italiana, secondo Mattarella, non è nazionalista. Per lui, il popolo italiano risulta dall’unione di elementi diversi ma uniti da una profonda cultura
comune», riassume il giornalista Luciano Ghelfi, che occupa il posto di “quirinalista” per la RAI, l’ente audiovisivo pubblico, una funzione il cui prestigio è pari solo a quella del “vaticanista”, il
collega incaricato dell’attualità sul papa.
L’anno successivo, Sergio Mattarella ha condannato, in modo insolito, le violenze della polizia su studenti che manifestavano contro i massacri a Gaza, dichiarando, di fronte a un esecutivo reverente verso le forze dell’ordine, che «con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento» e non sono garanzia di «autorevolezza». E quando l’ente audiovisivo pubblico è stato preso in mano dal governo Meloni, il presidente della Repubblica ha preso posizione a favore del pluralismo dell’informazione. Più recentemente, il 25 aprile, data in cui gli Italiani celebrano la loro liberazione
dal fascismo e dal nazismo, ha difeso l’eredità di Altiero Spinelli (1907-1986), un dei padri italiani dell’Europa, che la presidente del Consiglio aveva duramente attaccato in Parlamento.
A destra, tuttavia, non si attacca Sergio Mattarella, una prudenza che i suoi sostenitori attribuiscono alla sua popolarità. Un sondaggio su YouTrend per il canale Sky TG24 ha mostrato che aveva, in aprile, la fiducia del 64% degli Italiani, contro il 34% per Giorgia Meloni. Il patriarca siciliano di un altro tempo, che incarna una democrazia in pericolo ovunque, resiste. Il suo mandato termina nel 2027. Né politicamente né filosoficamente, non si vede chi potrebbe essere il suo erede.

in “Le Monde” del 3 giugno 2025 (traduzione: www.finesettimana.org)

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