“Smettete di soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare né una terra da saccheggiare”. È il tonante messaggio che papa Francesco lanciò dalla Repubblica Democratica del Congo durante la sua visita nel gennaio/febbraio 2023. Un’affermazione che sintetizza la concezione di una chiesa in difesa dei poveri e degli oppressi, dei migranti e delle migliaia di civili in fuga da conflitti, miseria e cambiamenti climatici. Temi su cui Francesco è incessantemente intervenuto a muso duro, senza timore di mettere in imbarazzo i potenti. Lo ricorda bene anche re Mohammed VI del Marocco che nel marzo del 2019 si sentì rimproverare proprio nel suo regno a proposito dei migranti spesso in transito dal nord Africa: “Non si tratta solo di numeri, ma di volti, storie, sogni e speranze”.
Fino alle ultime ore di vita Francesco ha avuto a cuore le sorti degli africani. Nel messaggio “Urbi et orbi” diffuso a Pasqua ha ricordato (tra l’altro) le sofferenze delle popolazioni nella Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Sud Sudan, Sahel, Corno d’Africa e nella regione dei Grandi Laghi. Con i suoi 250 milioni di fedeli, l’Africa è il continente dove i cattolici crescono più velocemente al mondo: il futuro della Chiesa viaggia sulle loro gambe. Eppure, Francesco conosceva poco l’Africa prima del suo pontificato ma a fare la differenza è stata la sua visione politica multipolare, l’attenzione alle periferie del mondo, la profetica intuizione già nel 2014 di quella “guerra mondiale a pezzi” che avrebbe minacciato da vicino l’Europa ed il mondo occidentale solo con l’invasione dell’Ucraina (2022) e la sistematica distruzione della Striscia di Gaza (2023) mentre in Africa era già virale. Un impegno dalla parte degli ultimi che ha sempre caratterizzato la sua vita pastorale tanto da poterlo considerare il primo Papa del Sud Globale. È stato in grado di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda di un continente bramato e dimenticato allo stesso tempo. Francesco ha intercettato con la sua “cultura dell’incontro” (illustrata nel 2015 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite) lo spirito più profondo dell’etica comunitaria di Ubuntu (vocabolo che nasce dalla sintesi delle lingue zulu e xhosa diffuse in Sudafrica) che indica i valori africani di comunità, partecipazione, inclusione e solidarietà. Ha indicato (rivolgendosi in particolare ai giovani) una strada per realizzare il sogno di smantellare le strutture del neocolonialismo, rimuovendo le ingiustizie e spezzando il ciclo di dipendenza che continua a caratterizzare la relazione tra Africa e mondo ricco. Ma Francesco ha messo altrettanto in guardia il suo popolo che per realizzare questi sogni è necessaria una nuova generazione di leaders in grado di anteporre gli interessi delle loro nazioni e dell’intero continente ad interessi egoistici, etnici e di parte.
Bergoglio era comunque lontano dalla “teologia della liberazione” elaborata in Brasile e diffusa in America Latina: troppo in odore di marxismo ed in ogni caso difficile da adattare ad un contesto così particolare come l’Argentina dove in nome di Peron agivano (contrapposti) militari sanguinari e rivoluzionari sognatori.
È stato un Papa capace di gesti coraggiosi, anche dal punto di vista fisico. Avvenne il 29 novembre 2015 quando per la prima volta nella storia della chiesa il giubileo non venne inaugurato a San Pietro ma a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, un luogo sconosciuto ai più ma squassato da una guerra fratricida tra fazioni musulmane e cristiane. Francesco “il caparbio” decise che avrebbe aperto la Porta santa del Giubileo straordinario della Misericordia nella cattedrale di Bangui. A sconsigliare con decisione quello che sembrava un gesto temerario furono dapprima i nostri servizi di sicurezza, e poi con rude determinazione i soldati dell’esercito francese all’epoca dispiegato sul campo. Francesco minacciò di atterrare in elicottero se non fosse stato possibile in aereo. Tutti con il fiato sospeso quando a bordo della papamobile attraversò le strade di Bangui in compagnia del più alto esponente religioso musulmano e della sua controparte cristiana per visitare una moschea ed una chiesa. Un gesto che accese una luce su un conflitto dimenticato per rilanciare riconciliazione, rispetto, pace.
Il coraggio di Francesco è stato anche sfida nei confronti degli indifferenti, di quanti hanno responsabilità nei massacri di civili inermi. Il Papa con enorme fatica si inginocchiò in Vaticano nell’aprile 2019 per baciare i piedi al presidente del Sud Sudan Salva Kiir ed ai suoi vicepresidenti Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabior, antagonisti in una guerra civile che continua a mietere vittime. “A voi che avete firmato un accordo di pace, chiedo come fratello, restate nella pace” esclamò Francesco. Da allora tutto è peggiorato ma il gesto di Francesco è il simbolo della condanna della storia.
Dal mensile CONFRONTI n.6 giugno 2025
