Ricordare il 31 maggio 2010 ha un peso, oggi, più insopportabile che mai.
Significa ripercorrere un capitolo drammatico e cruciale della lotta palestinese contro l’occupazione e l’assedio di Gaza. Ma anche un momento di grande impegno, iniziato due anni prima quando, il 23 agosto 2008, le prime due imbarcazioni, la “Free Gaza” e la “Liberty” partite da Cipro, giunsero nel piccolo porto di Gaza city accolte dagli applausi dei palestinesi. Israele non bloccò il primo viaggio verso Gaza sotto assedio di quella che sarebbe divenuta nota come la Freedom Flotilla.
Tra i 44 passeggeri provenienti da 17 nazioni diverse c’era anche Vittorio Arrigoni.
Poi è arrivata quella notte. Il 31 maggio del 2010, in acque internazionali, le forze navali israeliane portarono avanti un’operazione brutale e criminale contro la Mavi Marmara e le altre navi della Freedom Flotilla, provocando la morte di dieci attivisti e ferendone 56. Un’azione che non fu solo un atto di violenza militare, ma anche un segnale di repressione verso un movimento internazionale di solidarietà che, nonostante le minacce e gli ostacoli, continua a lottare per la libertà e i diritti fondamentali del popolo palestinese.
Il messaggio inviato da quell’attacco attraversa i decenni e si manifesta ancora oggi, 15 anni dopo, con rinnovata brutalità: nel 2023, lo stesso tentativo di rompere l’assedio si è tradotto in un’altra operazione sanguinaria, quando un drone israeliano ha colpito un’imbarcazione della Freedom Flotilla Coalition nei pressi di Malta, rischiando di affondare una nave carica di volontari e aiuti umanitari provenienti da tutto il mondo. A bordo c’erano 30 persone di 21 paesi diversi, tutte animate dalla volontà di portare soccorso e solidarietà in un contesto di sofferenza ormai cronica, in un’area tra le più devastate dal conflitto, dalla povertà e dall’isolamento imposti dall’occupazione.
La storia di questa resistenza, dalla prima flottiglia del 2010 fino alle missioni attuali, è la testimonianza di una comunità internazionale che sceglie di opporsi al silenzio, di sfidare l’impunità e di denunciare un assedio che viola i diritti più elementari del popolo palestinese. La FFC, che comprende organizzazioni provenienti da oltre venti paesi, ribadisce con fermezza il suo obiettivo: rompere il blocco imposto da Israele alla Striscia di Gaza, un’insostenibile prigione a cielo aperto che da 18 anni priva i palestinesi di accesso a salute, cibo, istruzione e libertà di movimento.
L’attacco della Mavi Marmara e quello di oggi sono due facce di una stessa medaglia: la repressione di chi osa sfidare il rispettivo status quo, l’imposizione di una strategia di isolamento e dominio che sfrutta la forza militare e le alleanze internazionali per mantenere un controllo oppressivo. La ripetizione di queste violenze, in un lasso di tempo così ristretto, dimostra come la lotta di solidarietà internazionale venga ancora percepita come una minaccia da chi si arroga il diritto di decidere sulla vita e sulla morte di altri.
Come ricordiamo le vittime di allora, è fondamentale continuare a denunciare le responsabilità e le ingiustizie, sostenere le richieste di indagini imparziali e promuovere una reale soluzione politica che ponga fine all’occupazione e all’assedio. La solidarietà internazionale, il diritto alla libera circolazione di aiuti, e la resistenza non violenta devono rimanere i pilastri di questa battaglia, per rendere giustizia ai martiri del 2010 e per contribuire a costruire un futuro di pace, indipendenza e dignità per i popoli coinvolti.
Ancora oggi, tra le onde del Mediterraneo, si ribadisce con forza che la libertà di Gaza non è solo una battaglia geopolitica, ma un imperativo morale. La storia ci insegna che la repressione e la violenza non possono mai frenare la volontà di un popolo di vivere e di resistere nel rispetto dei propri diritti fondamentali.
La memoria di quella notte del 2010 e l’attualità delle azioni di oggi devono spingerci a non abbassare la guardia, a continuare a chiedere giustizia e a mettere al centro del dibattito internazionale la fine di un’ingiustizia secolare.
Nella foto, la nave turca Mavi Marmara, coinvolta nell’incidente della Freedom Flotilla.
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