La mancanza di libertà di stampa in Africa è un danno collaterale della democrazia sotto attacco, così come in Europa e altrove nel mondo. I giornalisti sono la categoria professionale più esposta ai conflitti con il potere e pagano quindi un prezzo altissimo. Una situazione così drammatica da indurre le Nazioni Unite (attraverso l’Unesco) ad istituire la giornata del 3 maggio per ricordare l’importanza di un sistema dei media libero e più indipendente per garantire un adeguato funzionamento del sistema democratico. Anche se istituita 32 anni fa, il giorno del ricordo per la libertà di stampa-pensiero-espressione-manifestazione resta di drammatica attualità.
L’ultimo rapporto del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpj) traccia un durissimo bilancio per quanto concerne per quanto avviene in Africa: fino al 1° dicembre 2024 erano almeno 67 i giornalisti detenuti in carcere in vari paesi. Le accuse contro di loro sono costruite con fantasia criminale e creatività persecutoria che evidenziano solo la consapevolezza della assoluta impunità da parte degli accusatori.
In Etiopia la polizia ha fatto irruzione nella sede di un quotidiano on line per bloccare la realizzazione di un documentario. Dalla perquisizione non è emerso nulla che riconducesse a filmati o documentazione specifica anche perché -come hanno spiegato i reporter – il sito non possiede né la strumentazione tecnica né le capacità professionali necessarie. Sempre in Etiopia 5 giornalisti rischiano la condanna a morte con l’accusa di terrorismo: la loro colpa è di aver seguito il conflitto civile in corso nella regione Amhara. Mentre un sesto redattore è in carcere dallo scorso settembre per aver dato notizie su arresti di massa di civili, attivisti, accademici nell’ambito di una ondata repressiva del governo di Addis Abeba. Le autorità non hanno ancora reso note le accuse a suo carico.
Peggio ancora succede in Eritrea, una nazione che riconferma di essere un carcere a cielo aperto per i suoi abitanti. 16 i giornalisti incarcerati tra il 2000 ed il 2005. Ma sono numeri parziali perché il regime di Isaias Afewerki nega addirittura l’esistenza di questi giornalisti: le accuse riguardano nel migliore dei casi presunte cospirazioni contro lo stato, in combutta con servizi segreti stranieri, senza trascurare incriminazioni per aver aggirato il servizio militare (obbligatorio fino a 50 anni) e la violazione delle leggi sulla stampa. La fantasia criminale del dittatore ha inchiodato l’Eritrea al settimo posto al mondo per giornalisti perseguitati, in buona compagnia con Iran e Vietnam.
In Nigeria il governo ricorre ad una legge sui reati informatici per perseguire 4 giornalisti, in manette per aver denunciato casi di corruzione. Una legge fatta apposta per convocare in tribunale, intimidire e detenere i reporter. In Burundi 4 giornalisti sono stati condannati a due anni e mezzo per aver attentato alla sicurezza dello Stato: la loro colpa quella di aver riferito di scontri tra forze governative e ribelli. Analoghe accuse (e condanne) anche in Camerun e Rwanda.
Ma ormai a inciampare nelle maglie della censura sono anche attivisti social, blogger e dissidenti digitali in Kenya, Uganda e Tanzania. Qui le associazioni per il rispetto dei diritti umani denunciano omicidi extragiudiziali, sparizioni forzate, rapimenti in operazioni condotte dalle forze speciali della polizia e dell’esercito a seguito delle manifestazioni di protesta che hanno scosso questi paesi a partire dallo scorso mese di giugno. Gli attivisti che hanno diffuso in rete le ragioni dei manifestanti sono entrati nel mirino delle autorità.
In Tunisia ed Egitto i regimi autoritari hanno intensificato la repressione non solo contro gli oppositori ma anche contro i giornalisti e gli utenti dei social media. In Marocco e Sahara Occidentale è stata concessa la grazia a migliaia di prigionieri ma continua il pugno duro contro oppositori e giornalisti. In Algeria il regime ricorre ad accuse di terrorismo inventate di sana pianta per fermare il dissenso. Non è da meno la Libia dove in centinaia sono detenuti per aver esercitato il diritto di libera espressione. Minacce, aggressioni ed arresti di reporter anche in Angola, Ciad, Guinea, Lesotho, Togo e Zimbabwe.
La situazione più grave si registra in Sudan dove negli ultimi due anni (da quando è iniziato il conflitto civile) sono stati uccisi 7 giornalisti, altri 28 sono stati feriti da colpi di arma da fuoco, 39 gli arrestati. Oggi sono al massimo 300 i reporter ancora in attività, prima della guerra erano 1.500. Quelli che sono riusciti a fuggire nei paesi confinanti sono perseguitati con caparbietà anche dalle autorità dei paesi ospitanti su pressione dei contendenti in patria.
La libertà di stampa, pensiero e parola, è sotto scacco in tutto il mondo. L’Africa non fa eccezione. Il diritto di espressione si collega sempre più alla libertà di riunione, manifestazione e promozione associativa. Tutto questo non piace ai governi autoritari ed alle democrature in Africa così come nella cosiddetta vecchia Europa. E’ un problema universale che dovrebbe entrare nella priorità delle agende politiche ed istituzionali di quanti hanno a cuore i destini della democrazia
