Le catene nell’Europa a due corsie

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Non é solo il suono delle catene alla vita e ai piedi che la costringono a piccoli passi a congelare gli animi di chi li sente e li vede in tutta la loro drammaticità. Le catene di Ilaria Salis sono il simbolo di una Europa che si muove su due corsie parallele, incapace di trovare dunque un punto di comUnione tra le regole interne degli Stati sovrani e quelle che l’Unione vorrebbe comunitarie. Al di là dei giochi di parole, la sensazione che si ha uscendo dall’aula del tribunale di Budapest dove si dovrebbe decidere per i domiciliari ad una donna che ha già fatto più di un anno di carcere senza condanna, é che nulla potrà mai far cambiare idea a chi ha deciso di mostrare i muscoli fino in fondo, giuste o sbagliate che siano le motivazioni per le quali una cittadina Europea si trova da 13 mesi in detenzione cautelare in un carcere di massima sicurezza per un reato che in nessun altro paese dell’Unione sarebbe trattato in questo modo.
La voce infantile ma decisa e coraggiosa di Ilaria Salis é al contrario quella dei tanti che come lei chiedono solo di essere trattati con equa giustizia. Non chiede di sottrarsi al giudizio del tribunale ma di avere quelle garanzie di presunzione di innocenza che andrebbero applicate in tutto lo Stato dell’Unione. E che nella stessa Ungheria, a seconda del singolo caso, vengono comunque applicate, come gli stessi legali della difesa di Ilaria hanno ribadito durante l’udienza davanti ad un giudice che le rigetta una per una ribadendo con cadenza quasi meccanica come per il tribunale “la signora Salis” sia un soggetto “ancora potenzialmente pericoloso”  e “13 mesi di detenzione cautelare in carcere per i reati ipotizzati” ma ancora comprovati “non sono poi così tanti” . Mentre il volto già pallido e tirato dell’imputata esprime malcelato sconforto e il padre esce dall’aula con impeto di rabbia.
Non basterà chiedere l’intervento del Quirinale per cercare di trovare una mediazione per far togliere quelle catene ad una cittadina italiana in attesa di giudizio. E forse neanche rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti Umani che ha tempo molto lunghi. Non basterà perché l’Ungheria ha deciso che Ilaria Salis é colpevole prima della sentenza. “Perché é un’attivista antifascista e pure straniera” dice Attila Vajnai, segretario del Partito del Lavoro ungherese e parlamentare della Sinistra Europea. Nel 2006 ha denunciato ad agenti della polizia un edicolante di Budapest che esponeva poster di Hitler. Per tutta risposta é stato picchiato e arrestato.  I suoi legali hanno fatto ricorso alla Cedu che, due anni dopo, ha dato ragione al ricorrente in base all’articolo 10 della Convenzione Europea per i Diritti Umani sulla libertà di pensiero.

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