La strada di Revelli

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Vent’anni senza Nuto Revelli, partigiano e icona dell’anti-fascismo, straordinario protagonista del nostro panorama culturale nonché fra i massimi esponenti di quell’avventura umana e intellettuale che fu la Einaudi nell’immediato dopoguerra, costituendo la “patria morale” del pensiero azionista e resistenziale e facendosi custode dei valori della Costituzione che altri, già allora, stavano purtroppo accantonando. Eppure Revelli, classe 1919, da ragazzo era stato fascista. Andò addirittura volontario in Russia con l’ARMIR, visse l’inferno di Nikolaevka e in quel momento, “nel cuore di tenebra del Secolo”, come lo ha definito suo figlio Marco, maledisse il Duce, il Re, l’Esercito e il concetto stesso di Patria. Fu allora che morì il Revelli fascista e nacque il Revelli partigiano che conosciamo e amiamo, nel crogiolo ardente della barbarie, a quaranta gradi sotto zero, con la morte che gli camminava a fianco e rendeva impossibile anche solo immaginare un domani. Eppure, Nuto Revelli seppe scrutare oltre l’orizzonte. Tornato in Italia, decise di riscattarsi, contribuendo a riconquistare valori essenziali come la democrazia e la libertà. Quella lezione lo avrebbe accompagnato per sempre. La dignità, la tensione morale, il rifiuto di ogni autoritarismo, l’attenzione alle esigenze dei poveri e degli ultimi, la difesa dei principî su cui si fonda il nostro stare insieme e l’amore per il prossimo e per la comunità: questo era Nuto, patriota nel vero senso della parola, anche se la sua patria, dopo aver conosciuto da vicino l’orrore della guerra, era il mondo intero.

Non staremo qui a citare i suoi capolavori: sono troppi. Ci limitiamo a ricordarne due: “La guerra dei poveri” e “La strada del Davai”, in cui emerge la forza del pensiero revelliano, la sua attualità e la sua lotta, incessante, per contrastare i nuovi inferni che andavano, via via, creandosi. Senza dimenticare il celebre canto partigiano “Pietà l’è morta”, emblematico dello smarrimento e del desiderio di riscossa della sua generazione, che non ha mai negato di essere stata fascista e, al contrario, ha sempre sostenuto che la vera forza dell’anti-fascismo stesse nella conoscenza e nel ripudio di quel demone.

Nuto ci manca per la sua rettitudine, per la sua gentilezza d’animo, per la sua lungimiranza ma, più che mai, per la sua passione civile, per il suo rifiuto di ogni totalitarismo, per la sua fermezza nel contrastare  qualunque oppressione, per il suo coraggio e per la sua capacità di denunciare, senza sosta, le storture di un Paese che non ha mai fatto davvero i conti con la propria storia e le proprie tragedie.

Una delle sue frasi più significative recita: “Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi. Guai se i giovani di oggi dovessero crescere nell’ignoranza, come eravamo cresciuti noi della ‘generazione del Littorio’. Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta…”. Speriamo di essere all’altezza dell’eredità che ci ha lasciato.

In allegato il link dell’intervista che mi ha rilasciato Marco Revelli, nell’ambito della mia trasmissioncella, in ricordo di suo padre:

 https://www.youtube.com/watch?v=cMxrO-CSTdI


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