“Povere creature!”, di Yorgos Lanthimos, Usa, 2023

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Con Emma Stone, Willem Dafoe, Mark Ruffalo, Hanna Schygulla.

Inizio geniale, intriso di sperimentalismo visivo targato Orson Welles, e prefinale degno del miglior Polanski, in mezzo un film che cerca di coprire con una piatta magniloquenza un clamoroso vuoto narrativo e soprattutto formale. Bella è una creatura dello scienziato “cronenberghiano” Godwin (il God dovrebbe ricordarci Dio, mah…), che fa rinascere una suicida innestandole il cervello della creatura che aveva in grembo. L’approccio alla vita della protagonista, in un bianco e nero che ci riporta, anche in quanto a contenuti, a “Il ragazzo selvaggio” di Truffaut, e che fa da preludio alla sua costante maturità sempre più simbolicamente “colorata”, è davvero il clou del film, tra spontanea ed efficace rivolta antiborghese, relativa analisi linguistica, ed innocente e vitalistica esaltazione dell’uomo-natura. Con la crescita intellettiva di Bella, l’opera di Lanthimos sembra impantanarsi tra sessualità libertaria anni ’60, socialismo alla Angela Davis, preceduto dalla presa di coscienza delle ingiustizie sociali su un transatlantico in stile ” E la nave” del grande Federico, Lgbt attuale, rivendicazione del “corpo è mio” anni ’70 e finale con “famiglia allargata” anni 2000. Il tutto sacrosanto, beninteso, ma con un senso di già visto e di ripasso ad uso e consumo di un pubblico conquistato sulla base di un evidente marketing culturale formato blockbuster hollywoodiano, condito con una giusta dose di scandalo e servito sul piatto d’argento di grandangoli e fisheye a go go. E l’inattesa presenza della Schygulla, forse un inconscio non governato di Lanthimos, ci ricorda quanto questi temi fossero già stati trattati, in tempi non sospetti e da trincea, con ben altro spessore artistico da due grandi della settima arte quali Fassbinder e Ferreri. Avremmo preferito meno di due ore e venti di film riempite a fatica e molte più sequenze come quella geniale del prefinale, in cui Bella sfida l’antico marito e padre in un duello sulla dignità della donna, vinto da quest’ultima, capace di ridurre “scientificamente” il maschilista e patriarcale redivivo militare in una pecora. Accontentiamoci di questo, dopo aver girato a vuoto, per un centinaio di minuti, dentro un film ancora in cerca d’autore.


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