UniRAI, ma cosa?

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È nato il sindacato UniRAI, per la gioia dei direttori che hanno partecipato alla celebrazione dell’evento e dell’officiante Bruno Vespa, che ha addirittura augurato ai presenti di crescere e moltiplicarsi.
UniRAI, dunque, fra le lacrime dei gioia dei promotori e dei presenti, a loro dire stanchi di determinate logiche, quelle dell’UsigRAI per chi non avesse dimestichezza con l’argomento, ritenute partigiane e appiattite su un presunto sinistrismo che, in assenza della sinistra dal dibattito politico, facciamo fatica a capire da dove derivi, ma sicuramente è un nostro limite.
In tanti anni di battaglie contro censure e bavagli, dobbiamo ammettere che molti di questi colleghi e colleghe non li abbiamo mai visti, ma senz’altro si tratta di una svista o di un nostro inveterato pregiudizio. Così come non abbiamo ancora capito come si possa condurre una lotta serrata in nome dei diritti, della libertà d’espressione e della qualità del giornalismo quando a sostenere l’iniziativa sono coloro contro cui, teoricamente, ci si dovrebbe battere. Ma ribadiamo: siamo noi che non comprendiamo i tempi moderni, che non abbiamo capito nulla, che pensiamo di avere a che fare con un governo che ha occupato ogni angolo del servizio pubblico e che vuole apportare ulteriori restrizioni al già fragile diritto di cronaca, quando invece siamo al cospetto dell’esecutivo più liberale, aperto ed inclusivo che si sia mai visto nella storia della Repubblica.
Augurando lunga vita e notevoli successi alla creatura appena nata, ci permettiamo di ricordare la nostra iniziativa del prossimo 11 dicembre a San Teodoro, dove premieremo alcune personalità che, proprio come noi, non hanno ancora compreso dove sia tutta questa mirabilia. E, soprattutto, che si ostinano a credere che la passione civile e l’impegno sindacale con la benedizione dall’alto siano, quanto meno, discutibili. Le Costituzioni ottriate, infatti, sono un retaggio delle monarchie ottocentesche; nel Ventunesimo secolo i diritti e le libertà si conquistano sul campo.
E a noi, in vista del prossimo 11 dicembre, tornano in mente le parole con cui il giudice Borrelli aprì l’anno giudiziario nel 2002: “Resistere, resistere, resistere, come su una irrinunciabile linea del Piave”.

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