Le due agende dell’Occidente 

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Esistono i tempi di pace e quelli di guerra. Purtroppo, stiamo vivendo i secondi. E la differenza, se ancora non si fosse capito, sta tutta nell’agenda. Sessant’anni fa, in un’Italia che aveva già conosciuto alcuni pessimi governi, su tutti l’esecutivo guidato da Tambroni, fortunatamente caduto in seguito ai fatti di un’altra estate genovese, nasceva il centro-sinistra. Moro presidente del Consiglio e Nenni vice, in seguito all’esperienza di Fanfani, al governo balneare di Leone ma, soprattutto, al congresso democristiano di Napoli del ’62 e alla lunga tessitura dello statista pugliese, capace di portare l’intera DC su una posizione di apertura e di progresso. A favorire la svolta fu una positiva congiuntura internazionale: i papati rivoluzionari di Giovanni XXIII e di Paolo VI, la presidenza Kennedy negli Stati Uniti e il consenso di Agnelli, disposto a supportare un’esperienza inedita ma in sintonia con lo spirito dell’epoca.
A proposito, quando nacque il governo Moro, Kennedy era stato da poco assassinato a Dallas, a dimostrazione che neanche quella era una stagione priva di problemi, violenze e conflitti. Basti pensare alla carneficina del Vietnam e al disastro che avrebbe combinato Johnson, vice di Kennedy e suo arci-nemico, costretto dal fallimento di guerra a rinunciare alla ricandidatura nel ’68. Era una fase storica nella quale tuttavia, esisteva ancora la politica e, soprattutto, aveva un minimo di senso parlare di “valori occidentali”. Oggi non è più così. Basta leggere il programma elettorale con cui Trump sta per conquistare la nomination repubblicana e, temiamo, la Casa Bianca, a scapito di un Biden in affanno, impantanato nel caos dell’Ucraina e alla guida di una Nazione mai così spaccata, per renderci conto che l’Occidente non esiste più e, meno che mai, i suoi valori, ormai branditi come una clava contro chiunque osi ragionare in maniera lucida su un declino senza precedenti e, purtroppo, senza freni. Se poi diamo un’occhiata a ciò che sta avvenendo in Europa, vien da piangere. L’ultima vergogna, in ordine cronologico, appartiene al ministro dell’Educazione nazionale e della Gioventù francese, tale Attal, un personaggio le cui ambizioni sembrano essere direttamente proporzionali al cinismo e inversamente proporzionali al senso dell’opportunità, il quale ha messo a punto una riforma che prevede più selettività e più bocciature, con l’ovvia conseguenza di umiliare e, di fatto, cacciare dalla scuola i ragazzi e le ragazze più fragili. Non a caso, quel che rimane della sinistra socialista è insorto e qualcuno sta cominciando a capire chi sia davvero Macron, ossia il personaggio che potrebbe consegnare la Francia ai fascisti, ottant’anni dopo Pétain e l’abisso che ben conosciamo.
Non uno dei provvedimenti dell’aspirante Napoleone che non è nemmeno un Tayllerand, infatti, va nella direzione di alleviare le sofferenze dei poveri e degli ultimi. Dall’ambiente utilizzato in maniera strumentale e propagandistica, ovviamente a vantaggio dei ricchi, all’aumento dell’età pensionabile, che va a colpire, in misura maggiore, chi ha cominciato a lavorare prima e, per via del lavoro che svolge, ha un’aspettativa più bassa, fino al ripristino di una severità fuori luogo, fuori dal tempo e, quel che è peggio fuori dalla realtà: Macron si crede De Gaulle ma ci ricorda Sarkozy, il genio che definì “racaille” (feccia) i manifestanti delle banlieue, gettando benzina sul fuoco delle proteste degli esclusi di Francia. Ora potrebbero saldarsi la questione islamica, lì ben più grave che da noi, e quella sociale ed economica, con le conseguenze che potete ben immaginare. Senza contare ciò che sta accadendo in Germania, dove vanno forte i sostenitori delle classi differenziali per i disabili, in Spagna, dove fa furore un partito dichiaratamente neo-franchista, e nella nostra Italia, in cui la repressione è la cifra politica dell’attuale esecutivo, senza porre alcuna attenzione al tema ben più importante della prevenzione e dell’educazione.
Diceva Moro: “Questo è il tempo che ci è dato vivere”. Un tempo di guerra, per l’appunto, con conflitti sanguinosi che bussano alle nostre porte e ci coinvolgono attivamente e ricadute atroci sulle nostre vite e sul nostro futuro. I più ottimisti sostengono che ci manchino le utopie. Alle nostre latitudini, ci manca persino l’intelligenza di mettere in piedi una coalizione in grado di far fronte a un simile pericolo. È un fenomeno epocale e non se ne vede la fine.

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