“Le belle estati”, di Mauro Santini, Italia, 2023.

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Realizzato con la collaborazione artistica degli studenti del Liceo Artistico “Mengaroni” di Pesaro, nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola promosso dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, il nuovo film di Mauro Santini è tratto da due dei tre romanzi brevi, “La bella estate” e “Il diavolo sulle colline” (il terzo è “Tra donne”, comunque citato dal regista con un toccante e significativo insèrto tratto da “Le amiche” di Michelangelo Antonioni, 1955, ad esso ispirato) inseriti nella raccolta “La bella estate”, di Cesare Pavese, 1949, vincitrice del Premio Strega 1950. In particolare, la struttura dell’opera del regista marchigiano si muove attraverso un abile uso del montaggio alternato e del montaggio parallelo. Il primo ha strutturato il dipanarsi dei due singoli romanzi sullo schermo, mettendo insieme l’analisi “scolastica” dei testi e la realizzazione filmica degli stessi, mentre il secondo ha intrecciato le due trame, che non si incrociano mai se non in quel flusso continuo di parole e di vita vissuta, soprattutto nella “bella estate”, di tutti giovani protagonisti delle due narrazioni. In questo senso, Santini ha operato un miracolo filmico, orchestrando al meglio la parola e la visione dei due scritti di Pavese, anche attraverso citazioni esplicite che vanno dal gioioso truffautiano incipit allo straordinario “uso” della lettura dei brani che rimanda, non a caso, ai grandi Straub e Huillet, anch’essi molto legati artisticamente alle opere dello scrittore piemontese. Ginia, Amelia, Guido e Rodriguez de “La bella estate”, così come Pieretto, Oreste, Poli e il Narratore de “Il diavolo sulle colline”, si affacciano con inquietudine rohmeriana sullo schermo della finzione smascherata di Santini, resa esplicita perché tutto sia vero, in una realtà colta da noi spettatori nel suo stesso farsi.

L’artista fanese insegue così Rossellini, vuole che il suo cinema sia action painting, il solo modo perché le emozioni dei protagonisti sgorghino spontanee e lo spettatore le colga appieno come tali, in un gioco di rimandi emotivi che si moltiplica all’infinito, mai preordinato nel tempo e nello spazio. Gli intrecci amorosi, filtrati, ne “La bella estate”, anche dalla nudità dei corpi esibiti nell’arte per arrivare alla vita vissuta di un sorgente sentimento, si fondono ai malesseri dell’età giovanile, metaforici della condizione umana, a comporre un quadro esistenziale in cui gioia e infelicità si alternano senza soluzione di continuità. Qui Santini esibisce incantevoli sguardi e primissimi piani dei suoi adolescenti protagonisti, che compensano quanto la parola scritta può regalare solo al suo lettore. L’itinerario di conoscenza disegnato, ne “Il diavolo sulle colline”, da Oreste, Pieretto e Poli, insieme al loro narratore, si muove nei mille luoghi da essi attraversati alla ricerca di un senso da dare alla loro vita che sta per iniziare. Anche in questo caso Santini attraverso le loro nudità che si bagnano nel fiume evidenzia l’assoluta ricerca di verità tipica proprio di quella età, in un disvelamento arcaico del sé che diventa pienezza del presente. Lo splendido finale che vede i tre amici singolarmente impegnati negli esami di maturità viene messo in scena in parallelo alla loro escursione nel Greppo, ad indicare quell’uscita dal gruppo rassicurante che di lì a poco ognuno di loro vivrà dopo la fine del Liceo. La fuoriuscita dall’adolescenza come un salto nel vuoto imposto dalle regole della vita. Le finestre appannate dalla pioggia, tutte santiniane, rinforzano, metaforicamente, il senso di sperdimento che aleggia in tutto il film. Insomma, Santini disegna Pavese rinnovando i fasti della Nouvelle Vague. E, proprio per questo, la complessa figura di Poli viene delineata dal cineasta marchigiano come impossibile da definire fino in fondo. Sarà soltanto il dopo, la vita a venire, a decidere delle sue incertezze e debolezze, adesso conosciamo le premesse della sua esistenza, che come per i “Dreamers” bertolucciani apriranno varchi insondabili verso le irresistibili scommesse della vita. Quello che colpisce del cinema di Santini, oltre alla sua coerenza e consapevolezza morale, è la capacità di aderire ad un modello, quello francese succitato, riuscendo ad andare oltre, grazie al grande amore che egli nutre per un mezzo in grado di sperimentare nuove tecniche che ti consentono di raccontare l’uomo per quanto possa essere raccontato.


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