Il ricordo di Gianni Mina, a Orvieto si riscopre il patrimonio lasciato dal “giornalista fuori dal coro”

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Lo scorso sabato 6 ottobre si è tenuto un altro incontro del presidio orvietano di articolo 21 celebrando il ricordo di Gianni Minà.
A raccontarlo sono stati gli ospiti Loredana Macchietti moglie del giornalista e il giudice Felice Casson guidato dal giornalista Giorgio Santelli. Sono stati inoltre proiettati documenti che hanno lasciato testimonianza del suo impegno civile e del suo patrimonio professionale, come l’intervista a Antonio Capponnetto, a Maradona e al pugile Muhammad Ali.

Tra i giornalisti più importanti d’Italia Minà nel corso della sua carriera ha collaborato con diversi quotidiani, cominciando dal giornalismo sportivo. Ha poi realizzato numerosi reportage e documentari incentrati su vari temi; dalla cultura, alla politica, fino allo spettacolo.
Minà viene subito ricordato come rappresentante di un giornalismo che non c’è più, che riesce a rimanere fortemente empatico ma contemporaneamente sempre distaccato. La capacità di far raccontare, toccare la sensibilità delle persone e di metterle in una condizione che gli permetteva di aprirsi.
Macchietti sostiene infatti che lui scegliesse chi intervistare “per l’umanità e non per quello che rappresentavano. Non aveva pregiudizi, sceglieva anche in base a questa sua insaziabile curiosità. Quando intervistava era come se si facesse carico di tutto quello che le persone davano in quel momento. Raccoglieva tutti i sentimenti veicolati. Stando sempre attento a mantenere questo confine tra intervistato e intervistatore”.
Il suo segreto era innato, in quanto risiedeva proprio nella sua idea della professione stessa che considera una professione sociale “il ponte tra i fatti e persone”; doveva spiegare alle persone quel filo che collegava fatti apparentemente slegati tra loro.
La sua forte curiosità lo spingeva ad andare dove le cose succedevano realmente, proprio perché ciò che si racconta a seconda di come viene filtrato può assumere diverse visioni tanto che a volte quello che si apprende da giornali e televisioni lascia un largo spazio di interpretazione e non corrisponde interamente alla realtà, Minà voleva vedere i fatti in prima persona ed era in grado di raccontare una storia diversa. “Per questo è stato isolato. Era dissonante”.
Il suo interesse rimaneva poi la tutela del più debole, come ricorda Casson nel tempo ha creato una propria fitta rete di contatti e conoscenze a livello internazionale “dovute alla sua serietà alla sua affifabilita che riusciva a trasmettere in diversi ambienti.
Ti danno il senso del valore della persona, della cultura di tipo progressista”.
Durante l’iniziativa sono stati mostrati solo alcuni esempi del suo impegno civile costante, partendo dall’intervista nel 1996 alla trasmissione Storie fatta a Antonino Caponnetto, inventore del pool antimafia, che dopo la strage di Capaci e di Via d’Amelio ha raccontato il profondo sconforto, come ritrovò il coraggio grazie ai giovani di Palermo e come l’opera di Falcone e Borsellino proseguì.
Lo stesso Minà dopo il periodo delle stragi si candidò per i Progressisti nel collegio uninominale della Camera di Palermo-Capaci, con capolista Caponnetto in quanto
“sentì il dovere morale di mettere a disposizione la sua professionalità non per un partito ma per la rete.
In campagna elettorale si confrontò con la realtà difficile di Palermo ma si trattava di un Partito senza organizzazione, non era un partito, si voleva dare speranza. Fortunatamente non vinse perché non era un politico”.
Nel 1975 intervistò per la prima volta il pugile Muhammed Ali con il quale si istaurò un’amicizia “nonostante le diversità. Avevano un umanità simile”.
Rimase particolare legato fino alla fine anche a Diego Maradona, di cui nel 2001 diresse un reportage-confessione.
“Amava raccontare le stelle ribelli. Il calciatore lo chiamava spesso, ci parlava spesso. Gli aveva lasciato un messaggio il giorno prima di morire fino agli ultimi giorni della vita di Maradona proprio quando Minà stava per pubblicare un libro su di lui. In seguito ha posticipato di 6 mesi la pubblicazione per non lucrare sulla sua morte”.
Si è inoltre ricordato quando nell’87 intervistò per la prima volta Fidel Castro, della sua conoscenza con Gabriel Garcia Marquez, delle interviste fatte a Dalai Lama, Naomi Campbell, a Luis Sepulveda, al regista Martin Scorsese, a Robert De Niro e Al Pacino, e a molti altri personaggi.
La sua particolarità era che “non mollava finché non gli dicevano di sì. Poi studiava tantissimo, niente a caso, sapeva a memoria la vita delle persone che stava intervistando. Anche quando sembrava estemporaneo aveva sempre tutto sotto controllo”.

Prima della sua morte, venne istituita la “Fondazione Gianni Minà” pensò che in questa zona di nessuna che non è né carta né televisione mettere tutto il suo repertorio a disposizione delle persone perché pensava che attraverso la cultura di forma la coscienza critica delle persone.
“Se una persona si informa riconosce e capisce al volo quello che sta leggendo, se è vero o no”. La fondazione ha come obiettivo l’esaltazione del suo patrimonio giornalistico ed è sempre con tale scopo che Loredana Macchietti ha curato la serie uscita su Raiplay Gianni Minà cercatore di storie.

É in progetto inoltre la formazione di database per il 27 marzo, quando ricorre l’anniversario della morte di Minà, che funzioni come una sorta di motore di ricerca di tutto il lavoro lasciato dal giornalista fuori dal coro. Attraverso tale database “ognuno potrà costruire la propria storia per incuriosire i ragazzi”, sarà anche ricco di materiale inedito come l’intervista fatta alle Pantere nere negli anni ‘70.
Rifarsi al suo patrimonio é fondamentale per rifarsi al suo irraggiungibile giornalismo, utile per i giornalisti, i futuri giornalisti, e anche a professori e studenti, perché Minà è stato in grado di far parlare frammenti importanti di storia e di varie storie.


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