Elezioni Spagna. Vox diventa ininfluente

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Gli elettori spagnoli, sovvertendo i sondaggi e la narrazione dei media, accorrono in massa alle urne (70,18 %, quasi quattro punti in più del 2019) e frenano l’ondata di destra che sta attraversando l’Europa e doveva travolgere il governo di Pedro Sánchez. Il Pp vince ma non abbastanza, il Psoe tiene e cresce in voti e seggi. Vox crolla, perdendo 500 mila voti, mentre Sumar tira un sospiro di sollievo, il progetto c’è, anche se non riesce, per circa 20 mila voti, il sorpasso su Vox.

Quella di Alberto Feijóo, presidente e candidato del Pp, è una vittoria amarissima, praticamente una sconfitta. Il Pp è il primo partito ma la più concreta speranza di formare un suo governo sta, addirittura, nelle mani di Sánchez, con un’improbabile astensione per consentire alla lista più votata un monocolore di minoranza.

La sconfitta di Sánchez è dolcissima, quasi una vittoria. La scelta di anticipare il voto, dopo il cattivo risultato delle amministrative del 28 maggio, è risultata vincente. Il suo Psoe cresce in voti e seggi, occupa saldamente il centro del quadro politico e nessun governo è pensabile senza i socialisti.

Vox diventa ininfluente, Santiago Abascal incolpa il Pp e il sistema dei media e non fa nessuna autocritica. La radicalizzazione è la prima reazione ma deve fare attenzione, con molti governi locali ancora in gioco rischia di restare fuori da accordi col Pp.

Yolanda Díaz e Sumar non hanno sfondato ma, viste le premesse il sollievo è evidente. La costruzione del progetto è stata difficile, i rapporti con Podemos molto tesi, la smobilitazione dell’elettorato era altissima dopo gli anni di decadenza di Podemos — avvitato in una spirale di commissariamenti e espulsioni conseguente all’accentramento di tutti i poteri del partito alla ristretta cerchia di Pablo Iglesias, mentre ogni appuntamento elettorale ne ridimensionava la forza, sino al crollo all’origine della conquista da parte della destre di diverse amministrazioni locali nel voto del 28 maggio.

Il ritiro di Iglesias, che ha indicato alla successione come candidata del campo Yolanda Díaz, non iscritta a Podemos ma al Pce, non ha cambiato le cose. Rimasto punto di riferimento ma senza incarichi ha continuato a indirizzare il partito, i rapporti con Díaz si sono rotti e Podemos elevava nuovi ostacoli al processo federatore. Solo per l’anticipo elettorale deciso da Sánchez i partiti a sinistra del Psoe sono stati costretti a concludere un accordo per non mancare l’appuntamento elettorale. Un percorso che aveva gravemente smobilitato l’elettorato, che la campagna elettorale senza pausa di Yolanda Díaz è riuscita in parte a motivare, dando una base importante al suo progetto di costruzione di un nuovo partito laborista.

E adesso? Lo scenario è bloccato. Sánchez può più facilmente trovare appoggi in parlamento ma i numeri costringerebbero a un accordo con la destra indipendentista catalana di Junts, che appare una mossa difficile anche per lo scaltro Pedro Sánchez — e oggi entra nel quadro anche la Procura del Tribunale Supremo che ha sollecitato una nuova richiesta di estradizione al Belgio per Carles Puigdemont, questa volta per il delitto di malversazione. La ripetizione del voto non è uno scenario da scartare, appare anzi il più probabile. Guardiamo ai numeri, solo dei partiti maggiori che rappresentano i due blocchi, per capire meglio — tra parentesi i risultati del 2019.

Pp: 8,078210 (5.047.040) voti, 33,04 % (20,99), 136 seggi (89); Psoe: 7.749.791 (6.792.199), 31,7 %, (28,25), 122 deputati (120); Vox: 3.029.896 (3.656.979, 12,39 % (15,21); Sumar: 3.009.835 pari al 12,31 % e 31 seggi (nel 2019 non c’era ma le liste che la compongono raccolsero 3.295.651 voti, il 13,69 % e 36 seggi).

La maggioranza assoluta dei seggi è di 176 su 350, ma dalla seconda votazione basta la semplice, e sono possibili governi di minoranza, come è stato quello di Sánchez, col gioco dei voti a favore e delle astensioni astensioni benigne.

Gli scenari possibili, però, sono tutti improbabili. Un monocolore di minoranza per il Pp Feijóo, richiederebbe l’astensione del Psoe, o di parte del Psoe — che presupporrebbe una rottura nel partito. Per Sánchez invece non basta riunire la “maggioranza dell’investitura” che consentì il varo del governo di minoranza tra Psoe e Unidas Podemos — col voto a favore di Pnv, Más País, Nuevas Canarias, Bloque nacional gallego e Teruel Existe, e l’astensione degli indipendentisti catalani di Erc e dei nazionalisti baschi di sinistra di Bildu — ma ci vorrebbero anche gli indipendentisti catalani di destra di Junts per Cat, il partito di Carles Puigdemont, ora eurodeputato con la giustizia spagnola che vuole processarlo.

Il presidente del Pp intanto ci prova e annuncia l’appoggio del deputato dell’Unión del pueblo navarro e l’apertura di un improbabile dialogo con Coalición Canaria, PNV e Vox — ma il Pnv fa sapere di non essere disponibile. Scenari tanto difficili da rendere concreta la possibilità di un ritorno alle urne — e sarebbe la terza volta in dieci anni, nel 2016 con Rajoy e nel 2019 con Sánchez.

Il voto spagnolo ha avuto una duplice portata europea, oltre alla presidenza di turno spagnola dell’Ue. Da un lato, ha messo alla prova le nuove linee guida europee di cui la Spagna è stata il principale laboratorio – l’Eccezione iberica per il prezzo del gas, le nuove tutele per il lavoro e la previdenza sociale, la transizione energetica e produttiva –; dall’altro, si inserisce come passaggio fondamentale nella definizione della prossima governance europea.

Una vittoria di Pp e Vox avrebbe dato grande forza al progetto, perorato dal presidente del gruppo, il democristiano bavarese Manfred Weber, di alleare il Ppe coi “Conservatori” dell’Ecr, (come si definiscono le estreme destre nazionaliste europee, gli eurofascismi italiani, polacchi e ungheresi), l’estrema destra di Id e i liberali di Renew. Gli elettori spagnoli hanno sollevato uno sbarramento su questo percorso.

Ma, in generale, a Bruxelles tirano un sospiro di sollievo per il cattivo risultato di Vox, in particolare tra i popolari che vogliono mantenere il cordone sanitario per l’estrema destra — la presidente della Commissione, Ursula van Der Leyden, si è sempre rifiutata di ricevere gli eurodeputati neofranchisti.

Ora l’Europa teme un ritorno alle urne e vorrebbe un governo politico, che sia di Feijóo o di Sánchez e Díaz, con cui i rapporti sono stati molto buoni. Anche per questo i primi segnali dei due  leader sono di tentare la difficile impresa. Il 17 agosto si formeranno le Camere e poi il re Felipe VI darà l’incarico al candidato del partito più votato, Feijóo. L’Ue è disponibile a dare tutto il tempo necessario e ha fatto sapere che non sarà un problema il prosieguo della presidenza di turno con un governo in funzione.

Il risultato elettorale ci dice molto di quest’epoca, in cui la propaganda non è più strumento della politica ma condizione esistenziale e in cui i media, oltre a forme di concentrazione proprietaria, vivono un preoccupante fenomeno di concentrazione ideologica, con la destra politica e con gli interessi del potere economico e finanziario.

Con conseguenze che ormai superano il grave impoverimento del dibattito pubblico per arrivare a una ridefinizione della realtà, piegata a aspettative e convenienze. Fake news iperboli, deligittimazione democratica, hanno caratterizzato il discorso delle destre politiche e mediatiche.

Con la gran parte dei media la destra ha tentato di prefigurare una sconfitta morale delle sinistre, dato per spacciato Sánchez nell’imminenza del cambio di ciclo inevitabile. L’economia, incredibilmente, non ha fatto parte dell’agenda della campagna, visto che avrebbe favorito il governo delle sinistre. Gli istituti di sondaggi non sono stati capaci di tastare il polso del paese.

La maggioranza politica e sociale del paese, secondo la definizione di Sánchez, si è opposta a questa deriva, ha portato le conquiste economiche e sociali nelle urne per difenderle. Un segnale confortante, ben sapendo che in Spagna, a differenza di altri paesi europei, le sinistre avevano da rivendicare un’esperienza concreta di trasformazione economica e sociale del paese, portando “le classi medie e lavoratrici”, altra definizione di Sánchez, a difendere l’esperienza. A difendere la democrazia e il progresso contro la regressione economico-sociale  e culturale rappresentata dalle destre.

Come indica l’Europa, parte la corsa per la governabilità. Ci vuole molta fantasia per immaginare un traguardo vincente.


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