Putin “cucinato” dal suo ex cuoco Prigozhin

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L’impensabile è accaduto di nuovo in Russia. Evgeij Prigozhin improvvisamente ha girato i kalashnikov della Brigata Wagner e li ha puntati contro Vladimir Putin. Sabato 24 giugno 2023 ha abbandonato la guerra contro l’Ucraina, ha occupato con i carri armati la città russa di Rostov sul Don e da lì si è lanciato in una lunga corsa di 1.000 chilometri verso Mosca.

Una colonna di miliziani (forse composta da 5.000 combattenti) percorre velocemente 800 chilometri sull’autostrada A4 senza incontrare alcuna resistenza mentre la capitale russa si trincerava e molti lasciavano la metropoli. Alla fine, a 200 chilometri da Mosca,  giunge l’annuncio a sorpresa: dà l’ordine di tornare indietro «per il rischio di spargimento di sangue russo» da una parte e dall’altra.

Il tentato colpo di Stato, almeno per ora, finisce così. Prigozhin sembra aver accettato la mediazione proposta da Alexandr Lukaschenko, presidente della Bielorussia e grande alleato di Putin: fine della marcia su Mosca, immunità penale per tutti i mercenari partecipanti alla spedizione, possibilità per gli altri di arruolarsi nell’esercito della Federazione Russa. Il capo della Wagner avrebbe gradito l’allontanamento dagli incarichi di comando del ministro della Difesa Sergei Shoigu e del capo di stato maggiore Valery Gerasimov, da mesi nel suo mirino. Ma l’idea è difficilmente digeribile dal presidente russo.

I punti oscuri sulla rivolta sono molti. Da una parte c’è Prigozhin, chiamato l’”ex cuoco” di Putin per il catering fornito al Cremlino e le mense all’esercito e a molti uffici pubblici, ultra nazionalista di destra, già fedelissimo dello “zar”. È un personaggio complesso: è un magnate, ha fondato il gruppo Wagner, la milizia di mercenari utilizzata militarmente in molti paesi (Ucraina, Siria, Libia, Mali, Burkina Faso, Repubblica Centroafricana). Dall’altra parte c’è Putin, presidente della Federazione Russa, ex agente segreto del Kgb, l’uomo che ha promesso ai russi il ritorno agli antichi splendori di superpotenza.

La rottura è maturata dopo la fallita invasione dell’Ucraina. Prigozhin prima ha attaccato i vertici militari (in particolare Shoigu e Gerasimov) per incompetenza e corruzione. Poi ha fatto partire l’accusa di aver bombardato i suoi uomini della Wagner causando «un numero enorme di morti». S’impossessa di Rostov e scatta la marcia su Mosca. Non nomina mai il presidente russo ma l’attacco alla sua leadership è evidente. Putin li bolla come “traditori”, “terroristi”. In un drammatico messaggio televisivo alla nazione parla di «una pugnalata alle spalle del nostro paese» come quando i bolscevichi infersero «un colpo simile» alla Russia nel 1917: nella Prima guerra mondiale «la vittoria le venne rubata» e ci fu la tragedia della guerra civile. Anche lui non cita il suo “ex cuoco” ma promette una durissima risposta al «tradimento interno».

Prigozhin non ha espugnato Mosca e Putin è ancora in sella. Per ora ha vinto. Certo l’immagine dello “zar” è sfigurata: non solo non è riuscito a sconfiggere Zelensky dopo oltre un anno di una devastante guerra ma ha subito la rivolta di un comandante di una milizia privata, un suo ex fedelissimo. Putin esce dalla strana vicenda fortemente indebolito.

Gli interrogativi sono tanti: come mai l’avanzata della Wagner su Mosca non è stata contrastata dall’esercito russo? Cosa farà ora Prigozhin? Cosa farà Putin? È vero, come scrivono i giornali, che gli Stati Uniti e Putin erano al corrente del colpo di Stato progettato dal capo della Wagner? Dietro al tentato golpe ci sono solo le ambizioni politiche di Prigozhin oppure c’è dell’altro? Qualcuno parla di un sostegno americano all’operazione, altri della volontà degli oligarchi russi di farla finita con la guerra.

Un fatto è sicuro: Prigozhin non voleva finire alle dipendenze dei vertici militari russi come sembra che avesse deciso Putin. Un altro fatto è sicuro: il presidente russo non è più un intoccabile, la sua autorevolezza è ridotta a pezzi. L’aggressione all’Ucraina scattata il 24 febbraio 2022 per contrastare il contagio democratico in Russia e l’egemonia della Nato è stata un fallimento.

Di fatto si è aperto il dopo Putin con imprevedibili conseguenze. Sul ponte di comando del Cremlino potrebbe arrivare un personaggio ancora più bellicista, la Federazione Russa potrebbe anche finire in frantumi. Uno scenario da incubo perché Mosca detiene ben 6.000 testate nucleari, molte di più di quelle americane e cinesi.


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