Come la libertà di stampa viene messa a rischio in Italia: dalle querele temerarie all’editoria impura

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Negli ultimi mesi si è riaperto il dibattito riguardante l’uso fatto in Italia delle querele temerarie, una discussione che mette in luce i limiti presenti e le minacce concrete rivolte alla libertà d’informazione, tanto da aver attirato l’attenzione dell’Europa. Questo non è l’unico tema che però desta preoccupazione, in Italia infatti nel campo dell’editoria c’è una forte presenza di conflitti d’interesse in quanto chi possiede il controllo della stampa è spesso attivo in molti altri settori tanto da rendere incerta la linea di confine che permette di garantire una libera informazione.
Si tratta di una minaccia concreta soprattutto perché queste azioni sono del tutto lecite e rischiano di incontrarsi più facilmente di quel che si pensa.

Ritorna il tema dell’intimidazione: Le querele temerarie
Quando si parla di querele temerarie si parla delle cosiddette SLAPP, strategic lawsut against public participation, cioè azioni legali, di esito incerto, avviate con l’intento non di portare a termine il processo, ma di intimidire, appunto, chi viene accusato allo scopo di condizionarne e limitarne fortemente il lavoro.
Si tratta di cause legali in cui è infatti presente un grande squilibrio di potere tra chi querela e il querelante; il divario solitamente coinvolge la sfera economica, nella fattispecie si parla di potenti strutture o persone che avranno sicuramente disponibilità economiche elevate e perciò adatte a sostenere lunghi processi contro giornalisti che spesso invece sono costretti a provvedere autonomamente a pagare le spese legali. Le poche querele che arrivano a processo solitamente non si concludono con una pena nei confronti dei giornalisti, in quanto il loro lavoro è già regolato e difeso dall’Art 21 della Costituzione; ma anche quando non si giunge a una condanna il querelato avrà dovuto comunque affrontare spese legali pari a migliaia di euro, nel migliore dei casi, che non gli verranno rimborsate. Chi non può rischiare di affrontare terminate querele sono soprattutto i giornalisti freelance, cioè coloro che non sono stipendiati e che quindi guadagnano meno rispetto alle altre categorie. Uno sfondo invaso da minacce che come conseguenza ha quella di portare i giornalisti a non affrontare determinati argomenti e a non coinvolgere alcune persone per non doversi ritrovare poi ad affrontare processi troppo difficili da sostenere economicamente, anche a sacrificio di notizie che siano di interesse pubblico, e quindi a sacrificio dell’informazione stessa.
L’argomento è rientrato nel dibattito pubblico perché recentemente sono state compiute azioni circoscrivibili all’area delle querele temerarie, come le denunce avviate dalla premier Giorgia Meloni nei confronti del direttore e vicedirettore di Domani.
La questione riguarda un articolo dell’Ottobre 2021 in cui venivano riportati verbali dell’ex commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri. Indagato per abuso di ufficio riguardo a una compravendita di oltre 800 milioni di mascherine provenienti dalla Cina e risultate non a norma, Arcuri, ha fatto i nomi di “alcuni parlamentari che lo avrebbero contattato per promuovere soggetti o imprese”. Tra questi cita Giorgia Meloni, che in risposta decide di querelare Emiliano Fittipaldi e Stefano Feltri, non smentendo i fatti ma per aver usato nell’articolo il termine
<<raccomandazione>>.
Prassi simile è stata portata avanti sempre dal capo di governo Meloni nei confronti dello scrittore Roberto Saviano per aver additato nella trasmissione di La7 PiazzaPulita, l’allora leader di Fratelli d’Italia e Matteo Salvini come <<bastardi>>, commentando le campagne mandate avanti per limitare il lavoro delle ong che si occupano di soccorrere i migranti in mare.
Si tratta di due casi distinti, denunciati non solo da molteplici testate, italiane e estere, ma anche da europarlamentari che di fronte a certe azioni hanno manifestato la loro preoccupazione e la necessità di porvi rimedio al più presto per difendere la libertà di stampa.
Già nell’aprile 2022 la Commissione Europea ha deciso di ricorrere alla raccomandazione 2022/758 “sulla protezione dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani attivi nella partecipazione pubblica da procedimenti giudiziari manifestamente infondati o abusivi tesi a bloccare la partecipazione pubblica”. Vengono nominate le SLAPP evidenziando come “tali procedimenti costituiscono un abuso dei procedimenti giudiziari e impongono oneri inutili agli organi giurisdizionali, in quanto il loro obiettivo non è ottenere l’accesso alla giustizia, bensì sottoporre a vessazioni e mettere a tacere i contenuti”.

I conflitti d’interesse accettati nell’informazione: la presenza dell’editoria impura
Le querele temerarie non sono l’unico mezzo utilizzato in Italia che mette a rischio la libertà d’informazione, esistono infatti problemi profondamente intrinseci all’intero campo dell’informazione. Uno di questi è l’eccessiva presenza dell’editoria impura in Italia dove, in proporzione diversa rispetto ad altre realtà, chi investe nell’editoria non è il cosiddetto “editore puro”, cioè chi si occupa dei media in generale, senza essere legato a gruppi finanziari che si occupano di altri settori, ma appunto gli “editori impuri”, grandi gruppi di industriali, bancari, politici, normalmente imprenditori che possiederanno più fondi per adoperarsi in questo campo, ma che allo stesso tempo rischiano di entrare in conflitto d’interesse con ciò che dovrebbe essere trasmesso dalle testate giornalistiche, proprio perché non attivi esclusivamente nell’editoria.
Tutto ciò provoca un’eccessiva presenza di interessi privati all’interno delle redazioni, sacrificando, o manipolando informazioni destinate alla società e che dovrebbero contribuire positivamente alla formazione della pubblica opinione.
Anche in questo caso si vuole attivare la Commissione Europea che lo scorso 16 settembre ha accolto una proposta di regolamento sulla libertà dei media che intende tutelare “l’indipendenza degli editori e rendere noti i conflitti d’interesse”.
La questione dell’editoria impura si coniuga inoltre con le querele temerarie che possono infatti riguardare anche giornali contro giornali e giornalisti; è il caso dell’editore Michl Ebner e del suo gruppo Athesia che ha denunciato Salto.bz, un giornale online edito da una cooperativa con 130 soci.
Michl Ebner è stato deputato dal 1979 al 1994 della Sudtiroler Volkspartei e Euparlamentare dal 1994 al 2009, oggi è invece amministratore delegato del gruppo editoriale Athesia, azienda controllata da tutta la famiglia Ebner, proprietaria del quotidiano Dolomiten, ha poi acquisito nel 2016 dal gruppo L’Espresso-Finegil i quotidiani Alto Adige e Trentino. Nel 2018 rileva il quotidiano Adige e Radio Dolomiti, controllando inoltre le stazioni radio Sudtirol 1, Radio Tirol, Tele Radio Vinschgau e alcuni siti web, ma l’azienda è poi attiva non solo nel campo dell’editoria, della pubblicità e delle telecomunicazioni, ma anche nel campo dell’energia e del turismo.
Athesia assume quindi una posizione monopolista nel settore dell’editoria del territorio Trentino e dell’Alto Adige, situazione già denunciata dall’AGCOM e dall’Antitrust.
Questo colosso ha deciso di denunciare una testata non solo molto più piccola, ma con meno possibilità di affrontare un lungo e costoso processo, plausibilmente l’interesse della famiglia Ebner non sono i soldi, non sarà vincere il processo ma limitare il più possibile la voce di Salto.bz che si è sempre mostrata critica nei confronti del gruppo editoriale, e che rappresenta nella realtà locale un diverso punto di vista rispetto a quello dominante.
Anche in questo caso, se non si deciderà per una condanna il piccolo giornale online avrà comunque speso e perso maggiori risorse rispetto ai querelanti, e questo per i querelati è più importante di accertare se sia stato effettivamente commesso un illecito nei loro confronti.
Ciò è possibile perché l’editore non è formato da vari gruppi di minoranza, ma si tratta appunto di una famiglia, attiva in molti campi del territorio, e che è stata attiva anche in politica in passato; una famiglia che può avere risonanza nel territorio e che nel campo dell’informazione possibilmente farà valere i propri interessi.
Ormai questa è una consuetudine in Italia, se si guarda ad alcuni dei giornali che vendono più copie passando dal Corriere della Sera (editore Rizzoli-Corriere della Sera Media Group S.p.a, Cairo Urbano Roberto), Repubblica e la Stampa (entrambi editi del Gruppo Editoriale Exor con presidente John Elkan), Il sole 24 ore (editore Confindustria) al Il Messaggero (edito della famiglia Caltagirone), solo il Fatto Quotidiano presenta un’organizzazione partecipativa composta da più azionisti di minoranza. Nel 2020 è stato calcolato che al Fatto Quotidiano si aggiungono Domani e il Manifesto tra i quotidiani appartenenti all’editoria pura, quest’ultimi però non raggiungono una diffusione media di 21 000, hanno perciò una risonanza meno influente.

Lo scenario dell’informazione non è solo pervaso da conflitti d’interesse, ma è anche privo di regole che tutelino giornali e i giornalisti, e il campo d’azione nel quale si muovono.
Tra gli eventi e le opinioni c’è infatti la realtà, la verità di quello che avviene, che può variare a seconda di chi la percepisce ma che deve essere necessariamente garantita dai mezzi di comunicazione e che non può dipendere né da influenze esterne, né dalla possibilità di essere oggetto di intimidazioni o minacce formulate alla luce del sole dai potenti.
Il risultato di queste azioni è il danneggiamento dell’informazione e della stampa stessa, in cui si sacrificano i contenuti e gli approfondimenti esplicativi in grado di creare una comunità più consapevole, e rendendo così la libertà d’informazione tutt’altro che garantita.
La necessità, e la speranza è che di fronte a questi ostacoli che permangono nella nostra democrazia, non sia l’Europa a trovare delle risoluzioni, ma sia il governo stesso a rimediare in quanto riconosce come la libertà di stampa non possa rimanere un argomento incerto; iniziativa a cui sarà più facile arrivare quando non saranno i rappresentanti politici i primi a servirsi di determinate azioni.


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